Il nostro Istituto di Previdenza Nazionale fu ideato e istituito dal Duce d’Italia, Benito Mussolini, per poi via via perfezionarsi fino agli anni 50 e 60, fino a prendere l’attuale forma che tutti conosciamo. Fu un sistema organizzato sulla società italiana di allora, dove il lavoro era diverso, il tessuto societario era diverso, come anche le aspettative di vita.
Non solo, ma anche la politica era fortemente sociale, il welfare che oggi tutti decantano non era altro che lo "Stato Mamma" iperprotettivo che dava garanzia di un posto di lavoro, di assistenza sanitaria, assegni di invalidità, trasporto pubblico a prezzi politici, insomma tutti quei servigi più o meno utili ed intoccabili a seconda dei casi di vera necessità, durante i quali lo Stato praticava normalmente il cosiddetto assistenzialismo che oggi si tenta di abbattere.
Davvero le riforme pensionistiche si sprecano nel corso dei decenni. Nei bilanci statali sono spese fisse, spesa in conto corrente che non può essere rimossa ma aggirata, nel senso che il Bel Paese sì, deve pagare obbligatoriamente, ma non è costretto ad indicare quando. E’ stato ed è così, tra l’abolizione della scala mobile (aggiornamento automatico di stipendi e pensioni ai dati Istat) allo scalino "più piccolo" di Maroni – recentemente abrogato dal governo Monti – con cui si diceva che un anno maturi il diritto al pensionamento e l’anno dopo ci vai. Insomma, l’originalità non è mai mancata ai governi (tecnici o politici che siano) nel mettere le mani nelle tasche degli italiani. Forte slogan con cui negli ultimi 17 anni Berlusconi ha tentato di distinguersi dalla massa.
I più esperti sanno che la previdenza si divide in tre pilastri: il primo obbligatorio (pensione sociale), il secondo frutto dei contratti collettivi (a seconda della categoria di appartenenza con fondi aperti e fondi chiusi) e il terzo facoltativo, che è quello "venduto sul mercato" assicurativo, ovvero il PIP (Piano Individuale Pensionistico).
Oggi sentiamo dire: "E’ stato toccato il numero magico" (definizione della Camusso, Cgil) e quindi non bastano più 40 anni per la pensione di anzianità (oggi si chiama pensione anticipata), e la rabbia monta. Per non contare il fatto che i nati dal ‘52 al ‘59 si sono visti innalzare di colpo di 6, 7 e poi 8 anni l’età per la quiescenza senza che nessuno si indigni per i diritti acquisiti violati. Valgono solo le baby-pensioni dei parlamentari e la (loro) interpretazione della Costituzione.
E allora, ce lo consentirete, lanciamo da qui una proposta: aboliamo l’Inps. Perché mai pagare 42-50 anni di contributi che non ritorneranno mai indietro? Perché accettare vessazioni e mutualità nel sistema pensionistico dove la piramide s’è capovolta, e quindi gli anziani sono molto più numerosi dei neonati, rendendo sempre più inadatto il sistema? Perché stipulare un contratto collettivo per la previdenza, quando potremmo intascare il lordo del nostro stipendio (guadagneremmo di botto una media del 33% in più al mese in busta paga), attraverso la stipula di un contratto individuale e privato? Lanciamo questo invito il giorno della vigilia di Natale proprio perché ci sembra un ottimo regalo da fare agli Italiani.
Siamo stanchi di slogan propagandistici e di governi che si fingono liberali, tecnici o politici che siano. Se davvero vogliono mettere mano al sistema dovrebbero pensare ad una riforma strutturale che accompagni questo sistema previdenziale al pensionamento, e non i cittadini. Si potrebbe iniziare liquidando tutti i contributi maturati ai lavoratori neoassunti, per esempio retroattivamente dal 2008, lasciando ovviamente smaltire tutto ciò che è maturato e tutti coloro che andranno in pensione. Nel giro di 30 o forse 40-50 anni cesserebbe totalmente di esistere la previdenza pubblica, ma a partire dal 2013 tutta la forza lavoro in essere penserà in autonomia e libertà al proprio futuro. Questa oggi sarebbe la più grande conquista di libertà.
Non solo tassazioni agevolate, rendimenti più elevati (i contributi pubblici si consolidano ogni 5 anni in base all’andamento del Pil, oggi in negativo, quindi stiamo perdendo denaro nostro), ma soprattutto una flessibilità maggiore. Non vedo perché mai in futuro una persona non possa scegliere di versare 2mila euro al mese e andare in pensione dopo 20 anni, oppure versare 100 euro al mese e andarsene dopo 40. Ci vincolano per legge a versare denaro. E tutti questi liberali, dove hanno nascosto la nostra libertà?
La verità è che con i nostri contributi viene pagato il deficit contingente, viene pagato il debito pubblico arretrato. Siamo stanchi di avere un Paese che pretende di occuparsi del "nostro bene". Qualcuno disse che non viviamo in democrazia, ma in un libero mercato. E allora che si facciano queste liberalizzazioni. Siamo ingessati in una enorme cambiale statale, attraverso cui paghiamo debito pregresso che non abbiamo mai stipulato e l’inoculata, la negligente gestione dei nostri risparmi (da parte delle Banche ed istituti finanziari) e del nostro futuro (da parte dello Stato).
Se vogliamo davvero cambiare, è ora il momento di scegliere. Se è vero che dal baratro si può solo risalire, ricostruiamo dal basso questa Patria.
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