C’è anche la firma del senatore eletto all’estero con il Pd Claudio Micheloni in calce a un documento per il No al referendum firmato da dieci parlamentari del Partito Democratico. I firmatari (Corsini, Dirindin, Manconi, Micheloni, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci, al Senato; Bossa, Capodicasa, Monaco alla Camera) sostengono che la loro iniziativa possa essere due volte utile: a centrare il confronto referendario sul merito, e non su pregiudiziali posizioni di partito o di schieramento, come finalmente un po’ tutti dichiarano di auspicare; a dare voce a elettori e quadri Pd che non condividono la revisione costituzionale.
Ferma restando la consapevolezza, apertamente espressa dai firmatari nel documento, che la loro è una posizione in dissenso da quella ufficiale del Pd, ma, insieme, nella convinzione che, a norma di statuto, su principi e impianto costituzionale, non si dia disciplina di partito.
Nel documento in questione si argomenta il No di merito al referendum costituzionale, "che non va inteso come un no al Governo".
Le motivazioni sono raccolte in sei punti: 1) circa il deficit di autorevolezza di questo Parlamento, viziato dal Porcellum; 2) in ragione del metodo, tutto in capo al Governo, su una materia genuinamente parlamentare, che ha concorso a un varo della riforma a stretta e ondivaga maggioranza; 3) perché la riforma costituzionale non persegue gli stessi obiettivi dichiarati di semplificazione e di efficienza del sistema istituzionale; perché disegna un bicameralismo confuso, un procedimento legislativo farraginoso, un Senato nel quale si dà una contraddizione tra la sua composizione e le sue alte competenze (in materia costituzionale e internazionale); 4) in quanto opera una esorbitante ricentralizzazione nel rapporto tra Stato e Regioni; 5) perché permane irrisolto il nodo della elettività dei senatori; 6) per il sovraccarico politico di cui si è investito il referendum con le sue implicazioni sul profilo del Pd e sul complessivo assetto del sistema politico.
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