A 1000 giorni dal suo insediamento a Palazzo Chigi, Matteo Renzi celebra i successi raggiunti e si prepara a giocare la sua partita più importante. Il premier ci tiene a salvare il referendum dalle malelingue e a chi lo accusa di presidenzialismo risponde: “Gli italiani sceglieranno in base al quesito. Abbiamo sgombrato il campo dai temi della deriva autoritaria e del combinato disposto con la legge elettorale”.
Così è (se vi pare)
Dal fronte del Sì arrivano rassicurazioni anche da parte del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi che non ha mai perso occasione di ribadire la disponibilità del Governo a cambiare l’Italicum. Per sapere se si tratti di una strategia elettorale o di una promessa destinata ad avere seguito bisognerà attendere il 4 Dicembre.
Ei fu
“Nel caso in cui perdessi il referendum, considererei conclusa la mia esperienza politica”. Oggi siamo lontani da quel Matteo lì. Il riformatore impavido degli esordi sembra aver raggiunto la maturità. La campagna elettorale deve avergli riservato duri colpi. Matteo ha collezionato “imprevisti” e – non trattandosi di una partita a Monopoli ma di una sfida che vale la poltrona – nelle ultime apparizioni si mostra sicuro di sé ma comincia a dosare le parole e a tener a bada l’arroganza, dimostrandosi consapevole che fra pochi giorni a passare al vaglio non sarà il solo contenuto del quesito referendario.
Vorrei ma non posso
Matteo per vincere deve puntare sugli indecisi che stando alle stime Demopolis si attestano al 25% (praticamente un quarto delle persone interrogate). Non occorre una laurea in matematica per capire che la cifra non può essere sottovalutata dal fronte del Sì.
Berlusconi pur riconoscendo le qualità di leader del presidente del Consiglio ha dichiarato di votare No il prossimo 4 dicembre. Ma l’elettorato di centro destra sulla questione appare diviso e il premier sa che per vincere deve riuscire a convincere proprio quel target.
Non si può dire che Renzi non abbia vissuto da protagonista la campagna elettorale, ma c’è una cosa da cui Matteo ha pensato di guardarsi bene. Nell’agenda del perfetto costituzionalista manca qualcosa. Cosa? Il dibattito aperto con un esponente del centro destra o un leghista.
Eppure “dall’altro Matteo”, attuale Segretario della Lega Nord , non sono mancate le critiche. “Che vergogna, anche questa sera il premier Renzi è stato ospite a spesa dei contribuenti, ci aspettiamo da Fazio un invito, o saremo noi a doverci autoinvitare occupando fisicamente lo studio” ha commentato Salvini in seguito all’intervista rilasciata dal premier alla tv di Stato.
Stando agli ultimi sondaggi, gli italiani andranno a votare. Probabilmente si supererà il 50% e si arriverà a 30 milioni di voti validi. Questo referendum non ha bisogno del quorum per essere valido eppure, se così fosse, lo supererebbe.
La parola ai presidenti. In carica ed “emeriti”
“La sovranità è degli elettori. Dobbiamo vivere serenamente il referendum così come ogni passaggio democratico”. Così il presidente della Repubblica Sergio Matterella parlava a Sofia solo due mesi fa cercando di smorzare le polemiche esplose dopo le parole in sostegno del Sì spese dall’ex ambasciatore americano John Phillips. “Il mondo è sempre più interconnesso, quindi è normale che ci sia interesse per le nostre vicende politiche ovunque, ma la decisione finale sarà degli elettori” aveva aggiunto Mattarella.
Decisamente altri toni quelli invece utilizzati recentemente dall’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano. “Quella sul referendum è diventata una sfida aberrante” riconosce il presidente. “L’obiettivo non è tagliare le poltrone” ha proseguito Napolitano nel corso del programma Porta a Porta sostenendo: “Non condivido quelle motivazioni. Ma al referendum – incalza – non giudichiamo Renzi. L’occasione per farlo la avremo alle prossime elezioni, fissate per il 2018”.
Qualche numero
Stando alle stime della Ragioneria di Stato, i risparmi per la finanza pubblica se passasse il Sì ammonterebbero a 57,7 milioni. 49 proverrebbero dalla riduzione del numero dei senatori e delle relative indennità, altri 8,7 dall’abolizione del Cnel, ancora troppo presto invece per calcolare i risparmi derivanti dall’abolizione delle province.
A legare la ripresa economica italiana all’esito della consultazione referendaria del 4 dicembre è lo stesso Governo.
“Affinché tuttavia la politica di bilancio stimoli la crescita e la creazione di occupazione, e le riforme strutturali adottate producano benefici crescenti nel tempo, il Paese ha bisogno di stabilità politica e istituzionale” – aveva spiegato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan durante la conferenza stampa di presentazione delle stime contenute nell’ultima nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza – “In tal senso le riforme istituzionali promosse mirano a rendere l’attuale sistema più stabile ed efficiente” rivelava il numero uno del Tesoro.
Intanto in Europa…
La sensazione prevalente – o meglio, l’augurio – è che l’Europa probabilmente accorderà la flessibilità all’Italia anche per quest’anno. Ma stavolta l’Italia non gode della fiducia passata considerando gli “sconti” già ottenuti dal Paese nel biennio 2015-2016 come ricordato dal presidente della Commissione Europea Juncker. L’eventuale vittoria del No potrebbe cambiare duramente gli assetti politico-economici italiani. Eventuali dimissioni di Renzi metterebbero gravemente a rischio i rapporti con l’Europa già minacciata dall’avanzata dei populismi e ancora sgomenta per l’esito dell’ultimo confronto referendario inglese.
Quella del 4 dicembre è una partita importante per il nostro primo Ministro. Non è difficile immaginare che una vittoria lo porterebbe facilmente ad avanzare l’ipotesi di assumere la guida dell’Europa. Se invece dovesse perdere, questo rappresenterebbe chiaramente un duro autogol per l’ex sindaco di Firenze.
Intanto l’incertezza sul referendum grava duramente sull’andamento dei mercati e la vittoria del No potrebbe rendere ancora più complicata l’attuale ricapitalizzazione di Monte dei Paschi di Siena e degli altri istituti di credito. Se invece dovesse avere la meglio il Sì, per il premier e per l’Italia la strada in salita da percorrere sarebbe ancora comunque tanta come fa sapere Karel Lannoo dal Centro per gli Studi Politici Europei di Bruxelles. “Non bisogna farsi illusioni. Perché Renzi avrà davanti a sé una sfilza di problemi da risolvere. Penso al settore bancario, oppure ai conti pubblici, con i livelli alti di deficit e debito”.
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