L’8 novembre rappresenta una data importante per la storia dell’America, o meglio, per la storia dell’umanità intera. Cinquantasei anni fa faceva il suo ingresso alla Casa Bianca il senatore democratico John Fitzgerald Kennedy. Oggi, esattamente come allora, la prima potenza mondiale – non ce ne voglia la Cina – è chiamata nuovamente a scegliere. Gli Stati Uniti stanno attraversando un periodo di forte instabilità accentuato dalla ormai ininterrotta minaccia terroristica che ha favorito l’attecchimento nel Paese a stelle e strisce del messaggio di Trump. “Make America Great again” o “Drain the swamp”. Sentimenti di protesta e ribellione che certamente non stanno risparmiando l’Europa, Brexit docet.
In questo clima di tensione mondiale, anche l’Italia si prepara a vivere un momento importante per la sua storia. I cittadini sono chiamati a scegliere e – indipendentemente dallo schieramento politico di appartenenza del singolo – il referendum costituzionale del 4 dicembre si tradurrà in una importante occasione di confronto per capire in che direzione si sta muovendo il Paese. ItaliachiamaItalia, a tal proposito, ha voluto ascoltare la voce di Francesco Giacobbe (Pd), senatore della Repubblica Italiana eletto nella Circoscrizione Estero (Asia-Africa-Oceania-Antartide).
Senatore, sta facendo campagna per il Sì? Quali le iniziative fatte e quali quelle in programma?
Abbiamo già organizzato delle iniziative in Australia, nello specifico a Sidney, la città in cui vivo. La scorsa settimana invece ero a Tunisi e questo weekend sarò in Italia, in Sicilia, la mia regione, per poi tornare in Australia e continuare la campagna nelle altre città del Paese in cui vivo.
Come procede la collaborazione con l’On. Fedi?
Con l’onorevole Fedi stiamo conducendo delle iniziative insieme. Essendo il nostro un elettorato molto grande, abbiamo deciso di divederci per raggiungere il maggior numero di territori e sfruttare al meglio le nostre risorse. Avremo anche dei momenti di ritrovo, ma l’importante è riuscire a garantire la nostra presenza nelle varie iniziative quanto più possibile.
Perché votare Sì?
Credo che il referendum costituzionale rappresenti un’occasione per l’Italia di cambiare. Il Paese necessita di una maggiore stabilità, di semplificazione. In questo risiede l’importanza della riforma che è stata a lungo dibattuta e modificata nel corso dell’iter parlamentare, dunque, molto pensata. Per scelta, chi ha proposto la riforma ha specificato che trattandosi di una riforma costituzionale, questa dovesse trovare il consenso degli elettori, del popolo italiano. Con queste premesse è stato indetto il referendum. Pertanto, qualsiasi sia il suo esito, dovrà essere rispettato. Credo che la vittoria del Sì indubbiamente potrebbe arrecare molti vantaggi all’Italia. Il Paese in questo modo dimostrerebbe di essere in grado di cambiare. Ma soprattutto, un esito positivo porterebbe a un miglior processo di legislazione, dunque a un governo migliore e – anche in riferimento al titolo V – a un miglior coordinamento dell’utilizzo delle risorse che ha l’Italia per promuovere e per organizzare se stessa. Ovviamente, nel caso in cui dovesse vincere il No, questi vantaggi verrebbero meno. La conseguenza più disastrosa nel caso in cui vincesse il No sarebbe proprio perdere questa opportunità di cambiare. Cambiare è difficile, spesso si predilige lo “status quo” ma sono certo che questo appuntamento rappresenti un’occasione. Un’occasione per cambiare in meglio.
Come è stata vissuto dagli italiani all’estero – mi riferisco ovviamente alla sua comunità di appartenenza, quella australiana – questo periodo di campagna elettorale?
I cittadini italiani all’estero sono i primi protagonisti del cambiamento. Hanno cambiato in maniera fondamentale la loro vita decidendo di lasciare l’Italia per andare a vivere in un altro paese. Questo ha comportato ovviamente un processo di adattamento, processo che sta alla base di ogni cambiamento. La mia percezione – parlando con le persone e nel corso delle varie iniziative – è che quando si parla della riforma e dei suoi contenuti non ci siano ragioni che possano giustificare il No.
Abbiamo avuto dei dibattiti anche con i sostenitori del No. Ricordo un’occasione nel corso di una campagna organizzata da alcuni i sostenitori del No in cui io stesso provai un certo imbarazzo nel costatare come si tentasse di promuovere il dissenso esulando dall’entrare nel merito dei contenuti della riforma stessa e promuovendo così una campagna all’insegna della disinformazione. E’ necessario votare entrando in merito ai contenuti della riforma. Entrando nel merito credo che votare Sì rappresenti una normale conseguenza. Credo che le occasioni di incontro e di riunione, sia a Tunisi che in Australia, abbiano avuto – in questa direzione – un risultato eccellente.
Nel caso in cui vincesse il No cosa potrebbe accadere nel nostro Paese? Alle eventuali dimissioni del Presidente del Consiglio potrebbe seguire un governo tecnico?
L’Italia ha bisogno di continuare a essere governata. In questi anni è stata governata da un Governo che ha avuto il coraggio di cambiare, dunque penso che Renzi debba continuare a guidare il nostro Paese sulla strada del cambiamento per migliorare l’Italia. A Tunisi ho preso parte a un’iniziativa pubblica organizzata dal circolo del Pd in cui mi sono state avanzate da alcuni partecipanti – sostenitori del No – delle domande critiche. Conversando con loro spero che gli argomenti di cui abbiamo discusso permettano loro di rivedere le ragioni del Sì.
Un’ultima domanda che esula dal referendum e dalla politica italiana in senso stretto, ma riguarda ovviamente il destino dell’umanità intera. Ancora poche ore e sapremo chi sarà il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Clinton e Trump si preparano alla resa dei conti. Lei da che parte sta?
Dalla parte della ragione. Indubbiamente dalla parte di Hillary. Non posso condividere, né, come si dice in inglese, “intrattenere” nella mia mente di pensare che alcune delle idee che Trump pubblicizza o dice di fare possano concretizzarsi. Bisogna costruire ponti non muri, come ci ha ricordato la ex first lady. Bisogna collaborare e cooperare non antagonizzare. Non abbiamo bisogno di “antagonismo”. Un’eventuale vittoria di Trump darebbe adito a una società in conflitto, non a una società che consenta di governare bene. Con la Clinton il mondo farebbe un grosso passo in avanti, altrimenti, si rischierebbe di fare un passo indietro.
Beh, si rischierebbe il trionfo dei populismi.
Purtroppo c’è un problema di legittimità e di efficienza della politica. Vedere persone come Trump arrivare a un passo dal diventare presidenti della più grande economia del mondo ci deve far pensare. Probabilmente c’è qualcosa nel mondo della politica che non sta andando bene. La politica si basa su due principi fondamentali. Da un lato c’è la legittimità, ovvero il livello in cui la politica viene accettata dai cittadini, dagli elettori, dall’altro c’è l’efficienza dei governi. Pensiamo ai governi tecnici. Questi rappresentano molto spesso dei governi giustificati sulla base dell’efficienza ma difficilmente riescono poi a raggiungere un livello di legittimità politica. Bisogna trovare un equilibrio tra legittimità – spesso alimentata nella società moderna anche dal populismo – ed efficienza (efficienza che non di rado comporta scelte molto dure) – e questo non è facile. Con molta amarezza le dico che oggi si sta assistendo al trionfo dei sensazionalismi – e in questo purtroppo i social media hanno giocato un ruolo decisivo – che permettono di acquisire facilmente un livello più alto di legittimità. Il populismo non è altro che una tecnica basata sul dire le cose che la maggioranza della società dice. Questo conduce a delle scelte spesso poco ponderate che certamente mal si sposano con l’obiettivo del governo: l’efficienza. Trump è il risultato di questo basso livello di legittimità, di questo populismo dilagante. Spero si possa arrivare presto ad un equilibrio che porti a una razionalizzazione delle decisioni, altrimenti si rischia di far virare il mondo in una direzione completamente sbagliata.
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