In autunno gli italiani dovranno votare per il referendum costituzionale. Dovranno quindi decidere se dire sì o no alle riforme del governo Renzi. Comitati di riformatori e fronte del no hanno già iniziato a spiegare le proprie ragioni, in una campagna elettorale – l’ennesima – che di fatto è già iniziata su tv, giornali e media in generale.
ItaliaChiamaItalia, prima di eventualmente esprimere una propria opinione, vuole offrire ai propri lettori gli strumenti per consentire loro di poter ragionare in piena autonomia e dare quindi spazio ai punti di vista di ciascuna delle parti in corsa. Daremo spazio alle ragioni del Sì e alle ragioni del No. Oggi iniziamo con le prime. Ecco qui di seguito le ragioni dei riformatori, punto per punto.
Basta un Sì per garantire stabilità e partecipazione
Si abbassa il quorum per i referendum, si garantisce al Governo più stabilità e alle opposizioni poteri di controllo. Si assicurano ai cittadini tempi certi per esaminare le leggi di iniziativa popolare.
Per togliere poteri alle regioni inefficienti
Si chiariscono le competenze dello Stato centrale e quelle delle Regioni. Tornano allo Stato energia, infrastrutture, promozione turistica. Si riducono gli stipendi dei consiglieri regionali, si eliminiano i trasferimenti ai gruppi regionlai.
Per cancellare poltrone e stipendi
Si tagliano 315 stipendi. I 100 senatori che rimangono saranno espressione dei territori, senza indennità. Si abolisce il CNEL, si cancellano le Province dalla Costituzione.
Per dire addio al bicameralismo paritario
Mai più ping pong infinito delle leggi tra Camera e Senato. Solo la Camera vota la fiducia e ha l’ultima parola sul bilancio. Tempi certi per approvare le leggi. Meno decreti legge.
IL MANIFESTO DEI RIFORMATORI
Dopo anni e anni di sforzi vani, il Parlamento della XVII legislatura è riuscito a varare con una larga maggioranza – quasi il sessanta per cento dei componenti di ciascuna Camera in ognuna delle sei letture – una riforma costituzionale che affronta efficacemente alcune fra le maggiori emergenze istituzionali del nostro Paese.
In questa nuova fase, come in quella precedente del dibattito parlamentare, i costituzionalisti, i giuristi, gli scienziati politici e gli studiosi delle istituzioni pubbliche non sono chiamati a fungere da terza istanza, bensì a offrire all’opinione pubblica strumenti per meglio orientare il proprio voto che si riassumono in questo documento di sintesi.
Il testo modifica molti articoli della Costituzione, ma non la stravolge. Riflette anzi una continuità con le più accorte proposte di riforma in discussione da decenni e, nel caso del Senato, col modello originario dei Costituenti e poi abbandonato a favore del bicameralismo paritario impostosi per ragioni prudenziali dopo lo scoppio della Guerra fredda. Né va dimenticato che la legge costituzionale di revisione del Titolo V approvata nel 2001 prevedeva che l’attuale Commissione parlamentare per le questioni regionali fosse integrata da rappresentanti delle autonomie “Sino alla revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione”, a dimostrazione della consapevolezza che una trasformazione del Senato in camera rappresentativa delle istituzioni territoriali fosse un complemento necessario della riforma dell’impianto costituzionale delle autonomie.
Nel progetto non c’è forse tutto, ma c’è molto di quel che serve, e non da oggi. Si riporta solo un breve elenco, a titolo ricognitivo.
1.Viene superato l’anacronistico bicameralismo paritario indifferenziato, con la previsione di un rapporto fiduciario esclusivo fra Camera dei deputati e Governo. Pregio principale della riforma, il nuovo Senato delinea un modello di rappresentanza al centro delle istituzioni locali. E’ l’unica ragione che oggi possa giustificare la presenza di due Camere. Ed è una soluzione coerente col ridisegno dei rapporti fra Stato-Regioni. Ne trarrà vantaggio sia il rapporto fiduciario fra Governo e Parlamento, che rimane in capo alla sola Camera dei deputati, superando così i problemi derivanti da sistemi elettorali diversi, sia l’iter di approvazione delle leggi.
2.I procedimenti legislativi vengono articolati in due modelli principali, a seconda che si tratti di revisione costituzionale o di leggi di attuazione dei congegni di raccordo fra Stato e autonomie, dove Camera e Senato approvano i testi su basi paritarie, mentre si prevede in generale una prevalenza della Camera politica, permettendo al Senato la possibilità di richiamare tutte le leggi, impedendo eventuali colpi di mano della maggioranza, ma lasciando comunque alla Camera l’ultima parola. La questione della complicazione del procedimento legislativo non va sopravvalutata, poiché non appare diversa la situazione di tutti gli Stati composti: in ogni caso, e di nuovo in continuità con le esperienze comparate, la riforma prevede la prevalenza della Camera politica.
3.La riforma del Titolo V della Costituzione ridefinisce i rapporti fra lo Stato e Regioni nel solco della giurisprudenza costituzionale successiva alla riforma del 2001, con conseguente incremento delle materie di competenza statale. Nello stesso tempo la riforma tipizza materie proprie di competenza regionale, cui corrispondono in gran parte leggi statali limitate alla fissazione di “disposizioni generali e comuni”.
Per la prima volta, non si assiste ad un aumento dei poteri del sistema regionale e locale, bensì ad una loro razionalizzazione e riconduzione a dinamiche di governo complessive del paese. La soppressione della legislazione concorrente non è prodromica tuttavia all’azzeramento delle competenze regionali, poiché serve solamente a razionalizzare in un’ottica duale il riparto delle materie e comporta di per sé una riallocazione naturale allo stato o alle regioni della competenza a disciplinare, rispettivamente, i principi fondamentali e le norme di dettaglio che già spettava ad ognuno di essi. Inoltre, l’impianto autonomistico delineato dall’art. 5 della Costituzione non viene messo in discussione perché la riforma pone le premesse per un regionalismo collaborativo più maturo, di cui la Camera delle autonomie territoriali costituirà un tassello essenziale. Con la riforma, peraltro, non viene meno il principio di sussidiarietà e dunque la dimensione di una amministrazione più vicina al cittadino rimarrà uno dei principi ispiratori della Costituzione.
4.I poteri normativi del governo vengono riequilibrati, con una serie di più stringenti limiti alla decretazione d’urgenza introdotti direttamente nell’articolo 77 della Costituzione, per evitare l’impiego elevato che si è registrato nel corso degli ultimi anni e la garanzia, al contempo, di avere una risposta parlamentare in tempi certi alle principali iniziative governative tramite il riconoscimento di una corsia preferenziale e la fissazione di un periodo massimo di settanta giorni entro cui il procedimento deve concludersi.
5.Il sistema delle garanzie viene significativamente potenziato: il rilancio degli istituti di democrazia diretta, con l’iniziativa popolare delle leggi e il referendum abrogativo rafforzati, con l’introduzione di quello propositivo e d’indirizzo per la prima volta in Costituzione; il ricorso diretto alla Corte sulla legge elettorale, strumento che potrà essere utilizzato anche sulla nuova legge elettorale appena approvata; un quorum più alto per eleggere il Presidente della Repubblica. Del resto i contrappesi al binomio maggioranza-governo sono forti e solidi nel nostro paese: dal ruolo della magistratura, a quelli parimenti incisivi della Corte costituzionale e del capo dello Stato, a un mondo associativo attivo e dinamico, a un’informazione pluralista.
6.Viene operata una decisa semplificazione istituzionale, attraverso l’abolizione del Cnel e la soppressione di qualsiasi riferimento alle province quali enti costitutivi della Repubblica.
7.Infine, lo sforzo per ridurre o contenere alcuni costi della politica è significativo: 220 parlamentari in meno (i senatori sono anche consiglieri regionali o sindaci, per cui la loro indennità resta quella dell’ente che rappresentano); un tetto all’indennità dei consiglieri regionali, parametrata a quello dei sindaci delle città grandi; il divieto per i consigli regionali di continuare a distribuire soldi ai gruppi consiliari; e, senza che si debba aspettare la prossima legislatura, parimenti alle due novità precedenti, la fusione degli uffici delle due Camere e il ruolo unico del loro personale.
Il testo non è, né potrebbe essere, privo di difetti e discrasie. Ma dobbiamo tutti essere consapevoli che, in Italia come in ogni altro ordinamento democratico , le riforme le fanno necessariamente i rappresentanti del popolo nelle assemblee politiche, non comitati di esperti: e nelle assemblee la ricerca del consenso impone compromessi, impedisce astratte coerenze, mette talvolta in secondo piano dettagli in nome del prevalente interesse a un esito complessivo utile. Nel progetto, peraltro, non ci sono scelte gravemente sbagliate o oggettivamente divisive (per esempio in materia di forma di governo: l’Italia rimane una repubblica parlamentare!), diversamente da alcuni dei precedenti (Commissione D’Alema 1997-1998, Progetto del centro-destra 2005-2006 per esempio).
L’iter della riforma è durato oltre due anni, è passato per sei letture, tre per ciascuna Camera, con quasi seimila votazioni e l’approvazione di oltre cento emendamenti. Sino alla prima lettura alla Camera il testo è stato condiviso da una maggioranza ampia, poi ridottasi per motivi non relativi al suo contenuto: riconoscere un anomalo potere di veto a chi aveva condiviso il contenuto avrebbe danneggiato il paese. Al di là dell’iniziativa e dello stimolo costanti del Governo, il contributo delle due Camere e di vari gruppi anche di opposizione è stato comunque decisivo e rilevante.
Il testo, con le modifiche che il Parlamento ha voluto, si ispira inoltre direttamente alle proposte della Commissione per le riforme costituzionale istituita dal Governo Letta nel 2013, che rispecchiavano l’opinione largamente maggioritaria fra gli studiosi di ogni orientamento che presero parte a quella Commissione.
Peraltro il procedimento di revisione costituzionale si innesta sul procedimento legislativo ordinario, sicché non esiste alcun problema costituzionale nel fatto che il testo sia stato presentato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro per le riforme istituzionali, né vi sono dubbi sulla legittimità di questo Parlamento, considerando che la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale ha stabilito che i suoi effetti sulla legge elettorale si applicano per il futuro e non per i periodi precedenti. Si aggiunga altresì che non può che essere apprezzato positivamente il rispetto della procedura prevista in Costituzione per la revisione costituzionale.
Gli elettori sono chiamati a pronunciarsi solo sulla riforma costituzionale, non anche sulla legge elettorale della Camera: la legge 52/2015, infatti, sarà comunque già operativa dal luglio prossimo e, in caso di approvazione della riforma, sarà soggetta a controllo di costituzionalità. In astratto varie leggi elettorali sono compatibili con la riforma costituzionale e con la scelta di rendere l’elettore arbitro della scelta sulle maggioranze. Giova comunque ripetere che nulla nella legge attuale, in combinato disposto con la riforma costituzionale, configura un’anomala concentrazione di poteri: la maggioranza di 24 deputati alla Camera al fine di governare non consente al vincitore né di rivedere da solo la Costituzione, né di esprimere da solo la composizione degli organi di garanzia. Questo – almeno – dicono i numeri.
Il referendum su questo testo è stato voluto sia da coloro che l’hanno contrastato sia da coloro che l’hanno sostenuto. Ciò non deve sorprendere. Infatti per una legislatura nata fra tante difficoltà e sulla base di una legge elettorale dichiarata in parte illegittima, appare naturale che una scelta così importante sia comunque affidata, in ultima analisi, all’insieme del corpo elettorale.
Occorre dunque guardare al progetto varato dal Parlamento e offerto ai cittadini nel suo complesso, perché si esprimano in un referendum costituzionale nel prossimo autunno. Come i parlamentari nelle ultime due letture così anche i cittadini sono chiamati a un giudizio sintetico e complessivo. Se si dovessero artificialmente separare i contenuti in più quesiti, rischieremmo di ottenere esiti schizofrenici, come mantenere il bicameralismo paritario e non invece la riforma dell’assetto regionale, o l’esito opposto. Né sarebbe pensabile che nello stesso procedimento i parlamentari votino sull’insieme e i cittadini no. Il tema dell’omogeneità è dunque una questione totalmente infondata, poiché nasce come requisito imposto dalla Corte costituzionale ai quesiti referendari abrogativi: lì si trattava di porre un argine alla aggregazione di quesiti e alla fantasia manipolatoria dei proponenti, da cui potevano risultare esiti confusi o illegittimamente additivi; nel referendum costituzionale, invece, la valutazione di omogeneità del contenuto è stata già fatta dal legislatore costituzionale, che ha ritenuto di tenere insieme alcuni precisi elementi di riforma.
Così come tutto si tiene nella Costituzione del 1948, anche nella riforma di cui stiamo discutendo è evidente che superamento del bicameralismo, riforma del procedimento legislativo, razionalizzazione dei poteri regionali fanno parte di un unico disegno che può essere positivamente valutato e non può essere artificiosamente suddiviso per una mal posta esigenza di omogeneità.
A quanti, come noi, sono giustamente affezionati alla Carta del 1948, esprimiamo la convinzione che – intervenendo solo sulla parte organizzativa della Costituzione e rispettando ogni virgola della parte prima – la riforma potrà perseguire meglio quei principi che sono oramai patrimonio comune di tutti gli italiani.
Lungi dal tradire la Costituzione, si tratta di attuarla meglio, raccogliendo le sfide di una competizione europea e globale che richiede istituzioni più efficaci, più semplici, più stabili.
Per tutte queste ragioni di metodo e di merito noi siamo convinti che la grande discussione nazionale che si apre in queste settimane e che continuerà fino alla vigilia della consultazione referendaria potrà persuadere i cittadini italiani della bontà della riforma approvata con coraggio dal Parlamento e della sua utilità per il miglior governo del Paese.
Il sì potrà garantire meglio di qualsiasi altra scelta tutto questo.
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