Ora i nodi vengono al pettine. Avevamo denunciato nella scorsa legislatura – in particolare con le interrogazioni e gli emendamenti della ex parlamentare e collega Angela Schirò – che la normativa sul Reddito di cittadinanza e sull’Assegno unico violava il diritto dell’Unione europea in materia di libera circolazione dei lavoratori e di diritti sociali dei cittadini danneggiando soprattutto i nostri connazionali i quali rientravano in Italia e anche i nostri connazionali residenti all’estero.
Ora la UE ha aperto due procedure di infrazione contro l’Italia in tema di Reddito di cittadinanza e di Assegno unico universale. Ma cosa ci rimprovera la Commissione europea (che ricordiamo è l’organo esecutivo e di governo dell’Unione)? Partiamo dal reddito di cittadinanza (ancorché se ne prospetta l’eliminazione).
La Commissione ha praticamente invitato l’Italia ad allineare la sua legislazione sul RDC al diritto della UE in materia di mobilità dei lavoratori avviando una procedura di infrazione ed inviando quindi una lettera di costituzione in mora (INFR2022/4024).
La Commissione sottolinea che una delle condizioni per accedere al reddito di cittadinanza in Italia è di aver soggiornato nel Paese per 10 anni di cui 2 consecutivi immediatamente prima della presentazione della domanda. Invece a norma del regolamento UE n. 492/2011 e della direttiva 2004/38/CE le prestazioni di sicurezza sociale come il “reddito di cittadinanza” dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini della UE che sono lavoratori subordinati o autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente da dove abbiano soggiornato in passato.
Si ricorderà che noi del PD avevamo criticato con fermezza i requisiti di residenza che impedivano l’accesso al RDC ai nostri emigrati i quali rientravano in Italia. Vale la pena ricordare che la direttiva CE summenzionata prevede inoltre che i soggiornanti di lungo periodo provenienti da paesi terzi abbiano accesso a tale prestazione. Il requisito della residenza, infine, potrebbe impedire agli italiani di trasferirsi al di fuori del Paese per motivi di lavoro, in quanto non avrebbero diritto al reddito di cittadinanza al rientro in Italia.
Sull’Assegno unico universale si ricorderanno le nostre battaglie (insieme alla collega Angela Schirò) a tutela del diritto alle prestazioni familiari per figli (detrazioni e ANF) ora negati agli italiani residenti all’estero e le nostre perplessità sull’inesportabilità dello stesso assegno.
Ebbene ora la Commissione europea ha deciso di avviare una procedura di infrazione inviando una lettera di costituzione in mora all’Italia (INFR2022/4113) per il mancato rispetto delle norme UE sul coordinamento della sicurezza sociale e sulla libera circolazione dei lavoratori sostenendo che l’introduzione dal marzo 2022 del nuovo assegno unico e universale per figli a carico – cui hanno diritto solo le persone residenti in Italia da almeno due anni a condizione che vivano in uno stesso nucleo familiare insieme ai figli – contrasta con il diritto UE in quanto non tratta i cittadini della UE in modo equo e si qualifica pertanto come discriminazione. Infatti i regolamenti comunitari di sicurezza sociale vietano qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale, quali gli assegni familiari.
Alla luce ora di queste procedure di infrazione l’Italia dovrà rivedere al più presto i vincoli e i requisiti di residenza previsti dalle norme sul Reddito di cittadinanza e sull’Assegno unico per conformarsi alle norme della UE che vietano le discriminazioni basate sulla residenza.
L’Italia dispone ora di 2 mesi per rispondere ai rilievi espressi dalla Commissione, trascorsi i quali quest’ultima potrà decidere di inviare un parere motivato. Come è noto, nel caso in cui lo Stato membro non si adegui al parere motivato, la Commissione può presentare ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee contro lo Stato in questione (art. 258 de Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, par. 2).
*deputato Pd eletto all’estero