Con una nuova, ennesima importante Sentenza, la Corte di Cassazione ha riaffermato il principio – già espresso in altre sentenze ma non ancora recepito nella legislazione italiana – che il credito per le imposte già pagate all’estero (per redditi prodotti all’estero) spetta (al contribuente con la residenza fiscale in Italia) anche se tale contribuente che ha lavorato all’estero e comunque prodotto redditi all’estero, non abbia presentato la dichiarazione dei redditi in Italia, purchè vi sia una convenzione internazionale contro le doppie imposizioni fiscali.
Il caso esaminato dalla recente Sentenza n. 24160/2024 riguardava un contribuente che aveva prodotto redditi in Brasile e al quale l’Agenzia delle Entrate (Centro operativo di Pescara) aveva notificato 5 avvisi di accertamento per redditi perfezionatisi in Brasile, sottoposti a tassazione in quel Paese ma non dichiarati in Italia.
Come è noto in virtù del principio adottato nel diritto tributario interno dallo Stato e dall’amministrazione finanziaria italiani definito “Word Wide Taxation” o tassazione mondiale, i redditi del cittadino residente sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano indipendentemente dal luogo ove tali redditi sono stati prodotti. Capita spesso quindi che i lavoratori italiani i quali non si iscrivono all’AIRE e producono reddito all’estero sono soggetti o rischiano di essere soggetti se tracciati, a doppia tassazione.
La Corte di Cassazione ha precisato in questa sua ultima sentenza che con la Convenzione bilaterale sulla doppia imposizione con il Brasile lo Stato italiano, nel caso in cui assoggetti a imposizione elementi di reddito imponibili in Brasile, si è obbligato nei confronti dello Stato brasiliano a detrarre dalle imposte così calcolate l’imposta sui redditi pagata in Brasile.
L’obbligo che lo Stato italiano ha assunto nei confronti dello Stato brasiliano è un obbligo incondizionato. In altre parole, con la Convenzione bilaterale l’Italia si è obbligata, nei confronti del Brasile, a limitare la sua sovranità in tema di imposizione fiscale e a far sì che i contribuenti italiani che paghino le tasse al fisco brasiliano in relazione ad elementi di reddito posti in essere in Brasile, nel caso in cui siano assoggettati a tassazione anche in Italia in relazione a quegli stessi elementi di reddito, non subiscano una doppia imposizione.
Questo principio vale ovviamente per tutte le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.
Si tratta perciò, come si capirà, di una sentenza molto importante che praticamente sancisce che l’omessa dichiarazione dei redditi in Italia (da parte del contribuente residente fiscalmente in Italia) non comporta di per sé la perdita del diritto di credito per le imposte pagate all’estero e conferma il concetto che l’art. 165 comma 8 del TUIR (che prevede appunto la doppia tassazione per omessa dichiarazione dei redditi prodotti all’estero) è una norma invalida e incostituzionale sulla quale prevalgono i principi delle convenzioni contro le doppie imposizioni che sono istituite con lo scopo di eliminare la doppia imposizione.
Viene quindi confermato dalla Cassazione l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto al credito di imposta essendo formalizzato dalle convenzioni contro le doppie imposizioni, non necessita di ulteriori adempimenti – tra i quali la dichiarazione dei redditi – previsti dalla legge nazionale (art. 165 del Tuir) proprio alla luce della preminenza dei Trattati internazionali sulle leggi interne.
Va rilevato tuttavia che le sentenze della Cassazione non hanno forza di legge perché decidono un caso specifico portato all’attenzione del giudice, tuttavia la Cassazione definisce la corretta interpretazione e applicazione di una legge. Dovrà ora essere lo Stato (Governo e Parlamento) a modificare la legge per uniformarsi ai principi fissati dalla Suprema Corte.
Vorrei ricordare che è da molti anni che segnaliamo e denunciamo (con interrogazioni, emendamenti e proposte di legge) il problema di decine di migliaia di nostri lavoratori andati a lavorare all’estero per più di dodici mesi e i quali, per la ragioni più disparate e sebbene sia obbligatorio per legge, non si iscrivono all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), mantenendo così la residenza fiscale in Italia e che rischiano di essere o sono sottoposti a doppia tassazione.
A questo punto, dopo l’ulteriore chiarimento della Cassazione, ci sembra improcrastinabile un intervento legislativo del Governo italiano che legiferi – come richiesto anche nelle mie interrogazioni – che il contribuente può detrarre l’imposta assolta all’estero da quella complessivamente dovuta allo Stato italiano, anche nel caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata.
*deputato Pd eletto all’estero