L’hanno chiamata operazione ‘Ade’, per rappresentare l’inferno che un centinaio di romeni di tutte le eta’ ha vissuto per mesi nelle vie di Milano, costretti con sevizie di ogni genere a raccogliere l’elemosina o a dedicarsi ai furti. Gli agenti della polizia locale hanno liberato 32 di questi nuovi schiavi nell’operazione in cui sono stati arrestati in 12, in gran parte nomadi, con le accuse di tratta di esseri umani, riduzione in stato di schiavitu’, associazione a delinquere aggravata dalla transnazionalita’ e dal fatto che le vittime fossero portatrici di handicap. Perche’, contrariamente al passato, lo schiavo non acquistava valore per la prestanza fisica: anzi, piu’ era evidente la sua menomazione, piu’ riusciva a suscitare pieta’ e, quindi, maggior guadagno per gli sfruttatori. E se non bastava, provvedevano gli aguzzini a rendere la menomazione ancor piu’ evidente. Ogni schiavo era comprato in Romania da famiglie molto povere per 20 o 50 euro. Persone da 20 a 75 anni, definiti ‘merce’ nelle intercettazioni tra gli arrestati. Conclusa la trattativa, la ‘merce’ era trasferita in Italia a bordo di furgoni che, secondo gli agenti della Polizia locale, erano ‘veri carri bestiame, gelidi d’inverno e roventi d’ estate’. Una volta a Milano, erano addestrati dalle donne su come utilizzare le stampelle e chiedere l’elemosina. Un training per poter rendere almeno 30-50 euro al giorno, a seconda della zona in cui operava. C’e anche il caso di una ragazza, costretta a gattonare a bordo dei convogli della metropolitana che rendeva anche 60mila euro al mese. Denaro che consegnavano agli sfruttatori i quali li costringevano a dormire per terra in un’area occupata del quartiere Bisceglie, in via Calchi Taeggi. Al giorno un tozzo di pane. ‘Li imbottivano di caffe’ – racconta un investigatore – per sostenerli e non far sentire la fame’.
Ad essere sgominata ‘una delle organizzazioni criminali piu’ spietate sul territorio – come ha detto il comandante della polizia locale, Tullio Mastrangelo – ma sappiamo che non e’ l’unica’. Per tirare le fila delle indagini (coordinate dal pm Antonio Sangermano, della Dda di Milano perche’ i reati sono di competenza della Direzione distrettuale antimafia) sono stati necessari svariati mesi perche’ ogni intervento intempestivo avrebbe potuto pregiudicarne l’esito. Ci sono state intercettazioni, pedinamenti, riprese filmate: hanno dimostrato che dietro ogni gruppo di mendicanti all’angolo delle strade c’era un ‘caporale’ che controllava il lavoro e infliggeva punizioni fisiche se lo schiavo non raggiungeva la quota. Inoltre, per evitare che il mendicante fuggisse, il caporale gli sequestrava i documenti, che venivano restituiti solo in caso di controlli della polizia.
I 32 liberati sono stati accolti dalla struttura di emergenza sociale della Protezione civile del Comune di Milano e saranno presi sotto la tutela dell’Amministrazione, ha spiegato l’ assessore milanese alla Sicurezza e alla Coesione sociale, Marco Granelli.
Discussione su questo articolo