“Nacque da un fulmine di Zeus, perciò la sua origine è divina; cresce in silenzio nascosto tra radici e terra fina. La sua gloria aumenta nel rumore dei mercati, ma il suo trionfo vero è nei piatti prelibati”. (Giordano Berti, “Quattro rime sul tartufo”)
E ora vi parla il bon vivant che, inesauribile, è in me. Nella mia vita (per la verità credo di averne vissute cinque o sei) credo di non essermi negato quasi niente. E tuttavia c’è un desiderio, in fondo piccolo e facile da realizzare, che non mi sono mai concesso: un soggiorno (anche breve) nelle Langhe. Le radici del desiderio sono antiche. In principio furono i libri di Cesare Pavese, per me un mito. Poi i racconti che mi faceva un mio grande e caro amico, Davide Lajolo, il leggendario “Ulisse” – che di Pavese fu anche un illuminato e consapevole biografo. A seguire tanti altri amici, letture, racconti: bene, prima della fine dell’anno esaudirò il mio desiderio. Tartufi a volontà, brasati e ravioli, e barbera, anzi “la barbera” come piovesse. In compagnia di due amici, anzi amiconi. Mi parlano di locande meravigliose: tavole eccellenti, letti accoglienti. Avete consigli da darmi, indirizzi speciali? Intanto, studio le guide.
IL PRINCIPE CHE MORÌ DI INDIGESTIONE Nel 1368, assicurano gli studiosi, il figlio di Edoardo III d’Inghilterra morì per una indigestione di tartufi. Ci fu chi scrisse, in omaggio al divino tubero, che ben pochi siano altri modi, più felici, di morire.
Eppure l’erede di Edoardo III, con maggior attenzione, volendo avrebbe potuto evitare o quanto meno rinviare quella morte felice. Il tartufo era ben noto fin dall’antica Grecia: era chiamato Idra, per i latini Tuber, per gli spagnoli Turma de tierra, per i francesi Truffe, per gli inglesi Truffle. Mantegazza lo definisce il mistero poetico del mondo gastronomico, Dumas padre il sancta santorum della tavola.
MERAVIGLIA SUPREMA Il mio desiderio di Langhe e tartufi è cresciuto in misura non sostenibile da quando ho letto che “non si è ancora visto in nessuna parte d’Europa un prodotto pari a quello di certe province piemontesi”. Però i romani conoscevano solo i tartufi di Libia, per i quali facevano pazzie. Un tocco religioso arriva da Sant’Ambrogio, che ringraziò San Felice, primo vescovo di Como, per avergli regalato tartufi di straordinaria grandezza.
I MIEI GODURIOSI INTENTI Tartufi sulla fonduta, su tagliolini burro e salvia, risotto alla piemontese, carne cruda all’albese, insalata di funghi porcini o di ovuli reali. E perché no una bella, abbondante spruzzata su un uovo al tegamino? Davanti a una bottiglia di barbera oppure, potendo, di barolo. Perché…
ATTENZIONE AI PREZZI …perché la vacanza si preannuncia costosa. Tanto per dire, ci sono stati enormi tartufi venduti all’asta (Sotheby’s, che non accetta pizza e fichi) due anni fa per 50mila euro e, in precedenza, addirittura per 400mila. Erano tartufi bianchi. Quelli neri costano anche di più. Suvvia, me lo lasciate un tartufino, piccolo ma sincero, a prezzo accessibile per un bon vivant in pensione?
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