Lo stress dal lavoro non è certo una novità. I dati però ci dimostrano da una parte che questo fenomeno è in aumento, e dall’altra che può portare a conseguenze molto gravi. Non è un caso se, dopo decenni di studi, l’OMS ha deciso di riconoscere come una vera e propria sindrome l’overdose da stress, quella che più precisamente viene indicata come “burn out“.
E se i lavoratori italiani erano stressati nella “normalità” degli anni scorsi, il 2020, con tanto di pandemia globale, non ha certo ridotto la mole di ansia e di preoccupazioni. Anzi: guardando allo studio “The Workforce View 2020 – Volume Uno” realizzato da ADP, multinazionale leader nella realizzazione di software per la gestione delle risorse umane, emergono dati poco incoraggianti.
La ricerca è stata fatta intervistando 32.500 lavoratori in tutto il mondo, dei quali 2.000 in Italia. Si scopre così che il 43% dei lavoratori afferma di vivere una situazione di stress almeno una volta alla settimana, mentre il 25% degli intervistati si sente stressato quotidianamente. Di contro, solamente il 12% dichiara di non sentirsi mai stressato.
Sono tante le conseguenze negative di questo stress eccessivo. Se infatti da una parte c’è quello che viene definito stress positivo, di breve durata e saltuario, che si traduce in una stimolazione fisiologica e mentale per migliorare le proprie performance, dall’altra c’è quello decisamente negativo, che porta a un alto livello di tensione per lunghi periodo di tempo, conducendo prima all’affaticamento, poi all’esaurimento.
E lo stress eccessivo mina la salute dei lavoratori, il loro benessere, e di conseguenza anche il benessere delle aziende. Anche per questo, come spiegano ad ADP, dovrebbero essere le aziende stesse ad alleviare l’onere nei confronti dei lavoratori maggiormente stressati.
Risolvere queste situazioni non è certamente facile. Indubbiamente, sarebbe meglio prevenirle, lavorando in tal senso già al momento della selezione del personale.
«Esistono ruoli che, per loro stessa natura, sono maggiormente esposti ad alti livelli di stress» spiega Carola Adami, head hunter e CEO della società milanese di selezione del personale Adami & Associati.
«Mi riferisco per esempio a chi lavora abitualmente in modalità multitasking, a chi lavora a stretto contatto con il pubblico, nonché a chi lavora in settori dove il livello di incertezza è molto alto. Il manager d’azienda, l’organizzatore di eventi, l’avvocato, il barista, il medico, l’assicuratore: questi sono solamente alcuni dei lavori che si distinguono per l’alto livello di stress», continua l’head hunter milanese.
Nel momento in cui si ricerca un nuovo lavoratore per ricoprire uno di questi ruoli diventa quindi importante, per il bene dell’azienda nonché per il bene del candidato, capire se chi ci si trova davanti potrà essere in grado di gestire lo stress.
«Durante i colloqui di selezione è importante capire come reagisce il candidato sotto stress. Per farlo ci sono diverse tecniche, come per esempio presentare delle domande in modo incalzante, decidere a metà colloquio di passare all’inglese e così via» Carola Adami.
In definitiva, è necessario agire su due fronti: da una parte ridurre per quanto possibile le situazioni di stress eccessivo sul lavoro, e dall’altra selezionare con cura il personale, in modo da assegnare a ognuno il ruolo più adatto.