I recenti dati Istat mostrano una realtà drammatica relativa al tasso di natalità nel nostro Paese. Nel 2017 sono nati 464mila bambini, oltre 10mila in meno rispetto al 2016. In 8 anni, dal 2008 al 2016, abbiamo assistito ad un calo di 100mila nascite, come rilevato dall’Istat.
Senza tralasciare l’aumento dell’infertilità, anche legato al fenomeno delle mamme sempre più ‘mature’. Gli esperti sostengono che la crisi e la disoccupazione abbiano avuto un impatto negativo diretto sulla volontà di creare nuove famiglie e anche sulla loro dimensione (nel giro di vent’anni, secondo l’Istituto di statistica, il numero medio di componenti in famiglia è sceso da 2,7 a 2,4).
Mantenere un figlio è particolarmente caro in Italia. L’Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha recentemente pubblicato un’indagine sui costi relativi al mantenimento di un figlio nel primo anno di vita. Dallo studio sulla spesa sostenuta per un bambino nei primi 12 mesi emerge che il costo varia da 7.072,90 a 15.140,76 euro, con un aumento medio dell’1,1% nel 2017 rispetto al 2016.
Ci sono i prodotti, gli accessori indispensabili (passeggini, seggiolini…) ma anche tutta la sfera del childcare. Secondo uno studio di Cittadinanza Attiva, nel 2017 gli asili nidi comunali sono costati dai 500 euro al mese nella città di Lecco fino ai 100 euro al mese di Catanzaro, passando però da Cuneo (458 euro), Trento (437 euro), Mantova (427 euro). Sempre che ci sia il posto per il proprio bambino. In caso contrario o ci si affida a nidi privati, ancora più onerosi, oppure, quando i nonni non sono disponibili, alla baby sitter.
Anche qui però gli oneri sulle famiglie non sono da poco. Sitly, piattaforma specializzata nella messa in contatto di famiglie e baby sitter, con oltre 600mila iscritti, ha rilevato lo scorso anno che la tariffa media oraria di una tata italiana fosse di 7,67 euro. Molto più di quello che accade in Finlandia e Danimarca, dove le richieste non arrivano ai 6 euro l’ora, o in Olanda, nazione in cui si resta sotto i 7 euro (dati raccolti attraverso ricerche effettuate nei diversi Paesi in cui il gruppo Sitly è presente).
Il calcolo è presto fatto… Se poi si considera che in Italia i giorni di vacanza scolastica sono 200 all’anno, non c’è da stupirsi che molte mamme scelgano di stare a casa piuttosto che lavorare per pagare la retta di nidi e baby sitter.
L’Ispettorato nazionale del lavoro, in un rilevamento del 2017, ha evidenziano come nel 2016 il 5% delle 30 mila donne che si sono licenziate l’ha fatto per i costi troppo elevati nella gestione dei figli, a cui si aggiunge un altro 20 per cento (6.000 donne) che si è licenziato perché non c’erano posti all’asilo nido per il bambino.
Le ricadute dei problemi socio-economici sull’occupazione femminile sono concrete e significative: per questo le istituzioni dovrebbero prestare attenzione al tema.
Gli utenti del sito www.sitly.it intervistati durante l’estate, hanno però anche evidenziato un’ulteriore elemento: il 54% delle mamme italiane coinvolte hanno dichiarato che vorrebbero passare più tempo coi propri bambini, anche rinunciando alla carriera. In Olanda, invece, ben il 78% dei genitori non rinuncerebbe alla professione. Situazione simile in Finlandia (67%) e in Norvegia, dove il 76% non metterebbe mai il lavoro al secondo posto rispetto all’importanza di stare con i propri figli.