A volte ritornano. A volte ritorniamo, sì torniamo a casa, quando andiamo in vacanza. Noi italiani all’estero per turismo, per le nostre vacanze, potremmo scegliere fra tante destinazioni in tutto il mondo, più o meno costose, a seconda del portafogli che abbiamo in tasca, più o meno accattivanti, a seconda dei nostri gusti, esotiche, turistiche, mare montagna o chissà…
Invece molti di noi scelgono l’Italia, scegliamo di “tornare a casa”. Ma in questa scelta non c’è soltanto il desiderio di ritrovare le radici, e fonderle con il vissuto quotidiano in un paese straniero che ci ha accolto.
Tornando a casa scegliamo anche di dare valore alla nostra terra, che sia quella in cui abbiamo abitato quando eravamo piccoli, oppure quella dei nostri nonni, perché attraverso i loro racconti abbiamo cominciato ad amarla, e quando l’abbiamo vista per la prima volta abbiamo ritrovato una parte del cuore che loro, i nostri nonni o bisnonni, avevano lasciato quando hanno deciso di “cercare fortuna” altrove.
Quell’ “altrove” diventa allora la chiave di tutto, il senso e l’essenza della vita di emigrati, o “migranti” per usare un termine più attuale, perché migranti siamo stati, noi Italiani, forse più di ogni altro popolo al mondo, e quell’altrove si può chiamare in mille nomi, America Germania Belgio Argentina Svizzera Francia e ancora e ancora, ma rimane sempre, per molti, un “altrove”.
L’emigrazione italiana di oggi, degli anni 2000, non è certamente paragonabile a quella che c’è stata nel secolo scorso; è un’emigrazione soprattutto di giovani, che forse non sono costretti ad andarsene dal loro paese per fame, come è stato nel passato.
Forse uno straccio di lavoro lo troverebbero anche in Italia, ma non vogliono rinunciare ai propri sogni, magari non vogliono gettare al vento anni di studi, per fare un lavoro che nulla ha a che fare con quanto studiato.
E allora tentano nuovi cammini, imparano un’altra lingua, allargano quegli orizzonti troppo ristretti, cosa che la loro città non permette di fare. I vicoli dei possibili percorsi professionali si trasformano in altri paesi, in boulevard, avenue, square, dove le competenze e la capacità di ognuno vengono valutate per quelle che realmente contano e possono permettere di realizzare i sogni.
Queste persone, uomini e donne che cercano un cammino diverso da quello che viene loro proposto dalla realtà del nostro paese, sono un valore aggiunto dell’Italia, e non un peso come qualcuno pensa.
Gli Italiani all’estero non devono avere meno diritti dei connazionali residenti in patria. Ricordiamo anche che gli italiani nel mondo pagano tasse e gabelle varie: dal canone Rai nella bolletta telefonica fino all’Imu sulla prima e unica casa in Patria; oppure i tanti pensionati italiani nel mondo che continuano a pagare l’Irpef.
Senza contare che quando gli italiani nel mondo tornano al proprio paese portano con sè una parte di quella ricchezza accumulata con il sudore della fronte. Pagano treni, autostrade, carburante, cibo, stabilimenti balneari, alberghi, case per vacanze, pizzerie, gelati, vini, bontà dei territori delle nostre terre, ricariche telefoniche, fanno acquisti di oggetti e accessori che non trovano altrove, fanno regali per gli amici “stranieri” quando ritorneranno di nuovo nei loro luoghi di residenza. Tutto questo costituisce forse briciole, nell’economia di un paese, ma una pagnotta di pane è fatta di tante briciole.
Tutte queste persone non si aspettano un grazie, non attendono riconoscimenti o onori, né tappeti rossi da svolgere al loro arrivo, si aspettano una sola cosa, niente di più: di essere considerati come tutti gli altri Italiani, fratelli cugini amici compagni, semplicemente Italiani, e non stranieri.
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