Si comincia dai vertici e si potrebbe finire con la riduzione degli stipendi dei livelli piu’ bassi dei lavoratori pubblici. E’ il dubbio che viene sollevato nelle commissioni Affari cosituzionali e Lavoro della Camera durante l’esame del decreto del presidente del Consiglio Mario Monti che mette un tetto alle retribuzioni dei manager della Pa individuando come limite lo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione. Nel testo, che attua quanto previsto dal decreto legge ‘salva Italia’, ossia la manovra di dicembre, c’e’ infatti una norma, all’articolo 5, che tra l’altro non era richiesta dal ‘salva-italia’, in cui si chiede alle Pubbliche amministrazioni di valutare "la ridefinizione" anche degli stipendi dei dirigenti che non raggiungono il tetto stabilito nel testo. E questa previsione, ha spiegato Giuliano Cazzola (Pdl) potrebbe creare "un effetto domino" imponendo "a scalare" un "complessivo ridimensionamento degli stipendi di tutti i lavoratori pubblici fino a comprendere anche i livelli piu’ bassi". L’ex sindacalista della Cgil, ora nelle file del Pdl, si chiede se al di la’ degli aspetti problematici che possono riguardare o meno la retroattivita’ del tetto alle retribuzioni dei manager (apportando il livellamento anche i contratti in essere) "si sia realmente colta l’esatta portata dello schema di decreto soprattutto per quanto concerne la possibili ricadute che potrebbero derivare in danno dell’autonomia delle parti e dei trattamenti in essere sui livelli contributivi di tutti i dipendenti del settore pubblico". Cazzola ritiene infatti che "la formulazione attuale del testo" del Dpcm che, otre al riferimento a un limite massimo retributivo corrispondente ai vertici apicali, "invita" anche le amministrazioni pubbliche a una sorta di riparametrazione dei trattamenti inferiore a tale limite "rischi di produrre" appunto quell’"effetto domino" per tutti i pubblici dipendenti. Per come e’ scritto, continua, quell’articolo 5 "imporrebbe una pesante intromissione del potere legislativo all’interno di materie di norma rimesse alla determinazione delle parti sociali".
L’articolo 5 del decreto del presidente del Consiglio Mario Monti sul un tetto agli stipendi degli alti dirigenti pubblici, cosi’ recita: "Per il personale con qualifica dirigenziale cui non si applica la disposizione di cui all’art.3, a causa del mancato raggiungimento del limite massimo retributivo ivi previsto" ossia l’equipararazione allo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione "le pubbliche amministrazioni valutano se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico".
I dubbi sulla pericolosita’ delle norma, per futuri interventi anche sui redditi di tutti i lavoratori delle amministarzioni statatali, e non solo su quelli dei manager, sono bipartisan. Li esprime oltre a Cazzola anche Pierluigi Mantini dell’Udc. Durante il dibattito nelle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro della Camera, che devono esprimere un parere, l’esponente del Terzo Polo premette che "dal momento che il provvedimento in esame viene ritenuto di immediata applicazione, con efficacia retroattiva" ai contratti gia’ stipulati "sotto il profilo politico esso faccia intendere chiaramente che l’Italia si trova nelle medisime condizioni della Grecia". Poi sottolinea come "il testo in esame possa essere molto pericoloso soprattutto per i ceti piu’ deboli, consentendo in futuro interventi legislativi che prescindano dal principio di autonomia contrattuale e che potrebbero portare a stabilire un dimezzamento delle retribuzioni in essere, con evidenti conseguenze di ingiustizia sociale".
Il presidente della commissione Lavoro della Camera, Silvano Moffa, nella sua relazione illustrativa, in seduta congiunta con la commissione Affari costituzionali la scorsa settimana, ha evidenziato come l’articolo 5 del Dpcm, che tra l’altro non era richiesta dall’articolo 23-ter della manovra Monti "sembrerebbe incidere sulla sfera riservata alla contrattazione". Rileva poi che quell’articolo "sembrerebbe incidere sulla sfera riservata alla contrattazione, ponendo anche una significativa questione – sulla quale invita le Commissioni riunite a riflettere con attenzione – rispetto ai limiti che la legge incontra nei confronti del contratto (sia esso individuale o, a maggior ragione, collettivo); limiti che appaiono ancor piu’ evidenti, se solo si pensa che lo schema di decreto in esame e’ un atto di normazione secondaria e non una legge". Tra l’altro, osserva, la norma "appare ultra vires, in quanto non fondata sulle previsioni della norma di base, non prevedendo l’articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 alcuna disposizione in materia".
Anche la commissione Bilancio ha mosso rilievi sull’articolo 5. Nel parere in cui, tra le altre cose si invita il governo a definire con piu’ precisione la platea dei manager a cui si applicherebbe il tetto di stipendio, si osserva che "le disposizioni di cui all’articolo 5, volto a consentire alle amministrazioni di ridefinire il trattamento economico del personale di qualifica dirigenziale che non raggiunge il limite massimo indicato nel provvedimento non sono direttamente attuative del richiamato articolo 23-ter e sembrerebbe pertanto opportuna una precisazione in ordine all’effettiva portata normativa della disposizione chiarendo, in particolare, se la medesima sia volta ad autorizzare senz’altro le amministrazioni alla riduzione degli attuali trattamenti ovvero a configurare un mero indirizzo per l’attivita’ contrattuale della pubblica amministrazione".
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