Come previsto la maggioranza trasversale Pdl-Pd-Terzo polo ha confermato in Senato l’appoggio a Mario Monti. Ma questo proprio nel momento in cui si e’ capito che il cammino europeo del premier tecnico, al di la’ del prestigio e degli apprezzamenti personali, non sara’ affatto una passeggiata di salute. Monti ha rivendicato a palazzo Madama alcuni risultati ottenuti, sia sul nuovo patto di stabilita’ che verra’ approvato il 30 gennaio e nel quale l’Italia e’ riuscita a reinserire i criteri di flessibilita’ nel rientro da debito, sia nella percezione del Paese "non piu’ visto come problema ma come esempio di scelte economiche forti". Da un punto di vista soggettivo questo sara’ anche vero, ma sul piano oggettivo il dossier italiano e’ lontano dall’essere chiuso a livello mondiale. A colpire sono stati soprattutto i dati diffusi ieri con l’outlook aggiornato del Fondo monetario internazionale: che prevedono per l’Italia un 2012 e 2013 di recessione. Per l’esattezza, meno 2,2 per cento quest’anno e meno 0,6 il prossimo. Rispetto alle stime di settembre, si tratta di un peggioramento rispettivamente di 2,5 e 1,1 punti. Pur in un quadro di pessimismo generale per l’Europa, la decrescita italiana e’ nettamente peggiore della media. Compresa la Spagna che non ha ancora approvato nessuna manovra.
Ancora piu’ significative le attese del Fmi sul debito, che aumenterebbe in due anni dal 121,4 al 126,6 del Pil, e sul deficit, previsto al 2,8 per il 2012 e al 2,3 nel 2013. Niente pareggio di bilancio, quindi? Il Fondo da’ una chance di centrare l’obiettivo, ormai considerato obbligato dall’Europa e ragion d’essere principale della nomina di Monti a Palazzo Chigi: dipendera’ dagli effetti delle manovre di correzione (si da’ per scontato che ce ne siano altre), che pero’ a loro volta sono viste come "l’effetto freno di una recessione piu’ severa che altrove". In definitiva il Fmi osserva che l’Italia puo’ uscire dalla crisi ma non puo’ fare tutto da sola. "Ha bisogno di tre cose: l’aggiustamento di bilancio che gia’ sta facendo, riforme strutturali e un firewall europeo per ridurre i tassi d’interesse". Insomma, l’Italia non uscira’ dalla crisi senza un significativo aiuto europeo e senza una altrettanto significativa riduzione del debito.
Del resto e’ una previsione in linea con le stime della Banca d’Italia, che immagina nel 2012 una recessione dell’1,5 per cento se lo spread rimane a 500 punti, e dell’1,2 se scende a 300. Lo spread, pero’, dopo un brevissimo assaggio a quota 399, oggi si e’ riportato sopra i 430 punti, anche dopo il successo dell’asta dei Bund trentennali tedeschi, collocati a tassi particolarmente bassi.
Finora il governo ha agito molto in termini di correzione, aumentando le tasse con la manovra di dicembre; ha fatto una manovra di liberalizzazioni giudicata controversa e dagli effetti parziali sia sui portafogli di famiglie e imprese, sia soprattutto sulla crescita. Ha poi annunciato un nuovo decreto sulle semplificazioni ed infine aperto il dossier del mercato del lavoro. Che tuttavia, come ha precisato lo stesso premier, non potra’ essere finanziato da fondi pubblici. Una riforma di questa portata a costo zero, in particolare con l’introduzione del sussidio di disoccupazione al posto della cassa integrazione, e’ pero’ difficilmente immaginabile; ed infatti sono gia’ affiorati contrasti tra Elsa Fornero, Corrado Passera e lo stesso Monti. Si rischia dunque una riforma a meta’. Un’altra mezza delusione dopo le liberalizzazioni, su un fronte molto piu’ strategico e complesso. Resta dunque l’"aiuto esterno". Angela Merkel ha rilasciato un’intervista, all’avvio del vertice economico di Davos, nella quale ripete che la Germania sara’ solidale con Italia e Spagna, "ma questo non significa in alcun modo finanziare i debiti altrui". In attesa, o nella speranza, che la Bce sia un po’ libera di sostenere i nostri Btp, se non proprio diventare prestatore di ultima istanza, Monti dovrebbe quindi concentrarsi su un altro compito a casa, rimasto finora inspiegabilmente nel cassetto. Parliamo della riduzione del debito.
Il premier ha esplicitamente escluso che nel programma del governo vi siano le privatizzazioni. Eppure un segnale andra’ dato, se non altro per mettere in moto un meccanismo virtuoso. Non mancano ipotesi piu’ o meno perfezionate sia per collocare consistenti quote di titoli pubblici a basso tasso d’interesse ai detentori di capitali scudati; sia per vendere sui mercati quote di aziende del Tesoro – dalle Poste alle Ferrovie alle holding energetiche – attraverso meccanismi simili alle cartolarizzazioni affidati a societa’ veicolo.
L’importante e’ che si faccia qualcosa: il debito si sta sempre piu’ rivelando il vero macigno del Paese, freno non solo alla crescita ma a qualsiasi ipotesi di riforma vera come quella, non rinviabile, del mercato del lavoro. Ne’ e’ pensabile che dopo aver portato la pressione fiscale ben oltre il 45 per cento del Pil, ed introdotto forme piu’ o meno soft di patrimoniali striscianti, si aggiungano ora prelievi forzosi sulla ricchezza (emersa) dei cittadini. Il governo – attuale e precedente – si e’ concentrato molto sul rigore di bilancio, cioe’ sul deficit. E’ ora di cominciare ad attaccare il debito. Puntare solo sulla benevolenza dell’Europa non solo e’ illusorio ma e’ probabilmente inutile, e quindi sbagliato.
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