Il terzo dibattito pubblico tra i candidati repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti che si e’ tenuto mercoledi’ ha assunto il carattere di una zuffa disordinata tra le troppe figure che ancora si contendono la nomina di partito. Una volta abbassatosi il polverone, pero’, una figura e’ parsa svettare su quelle dei concorrenti: si tratta, concordano "Washington Post" e "New York Times", di quella del senatore della Florida Marco Rubio. Attaccato da piu’ parti nelle ultime settimane per aver trascurato i suoi doveri di senatore concentrandosi invece sulla campagna elettorale, Rubio ha dimostrato mercoledi’ d’aver appreso alla perfezione le regole del gioco: al suo mentore Jeb Bush, ora avversario nella corsa alla Casa Bianca, che gli rinfacciava pubblicamente l’assenteismo al Senato, Rubio ha replicato per le rime, sottolineando come in occasione delle precedenti elezioni presidenziali nessuno – ne’ la stampa, ne’ i politici di entrambi gli schieramenti – abbia mai rinfacciato la stessa colpa a John McCain, Barack Obama o Mitt Romney.
Sino a questa settimana, Rubio aveva condotto una campagna piuttosto anonima e di basso profilo, galleggiando a meta’ classifica nei sondaggi di gradimento dell’elettorato repubblicano. Diversi opinionisti e commentatori sostenevano che Rubio stesse solamente attendendo il momento migliore per fare sfoggio del suo talento politico: quel momento – scrive la "Washington Post" – e’ giunto mercoledi’. Il giovane senatore repubblicano e’ consapevole della forza insita nel suo profilo, e presenta agli elettori delle primarie repubblicane l’allettante prospettiva dello scontro tra un carismatico politico 44 enne figlio di immigrati cubani e l’ex segretaria di Stato Hillary Clinton, candidata di fatto del partito democratico. Stando al quotidiano, gli stessi ambienti democratici ammettono privatamente che l’eventualita’ di una sfida tra Rubio e la Clinton e’ quella che piu’ li preoccupa. Quella di Rubio resta una missione difficile: nei sondaggi e’ ancora sopravanzato dai populisti Donald Trump e Ben Carson, e la sua campagna appare debole anche secondo i criteri di valutazione "tradizionali", ovvero in termini di donazioni, organizzazione, capillarita’ ed endorsement da parte dei "poteri forti" di area conservatrice.
Il suo curriculum politico, che include un ruolo di primo piano nella proposta bipartisan di riforma delle leggi sull’immigrazione del 2013, costituisce un asset di valore se rapportato all’intero elettorato statunitense, ma rischia invece di divenire un handicap nella precedente fase delle primarie, quando a esprimersi sara’ l’elettorato conservatore. Eppure – sottolinea il quotidiano – a 100 giorni dalle primarie in Iowa, e’ difficile immaginare un’altra figura in grado di unire efficacemente il frammentario panorama repubblicano.
E’ quanto afferma anche il suo portavoce: "Marco si trova in una posizione unica per unire il Partito repubblicano. Se otterra’ la nomina, sconfiggeremo Hillary Clinton. C’e’ un netto contrasto generazionale tra il messaggio (di Clinton, ndr) e quello di Marco. L’America volterebbe pagina". Per il momento – scrive il "New York Times" – a Rubio e’ riuscito di far deragliare forse definitivamente la campagna di Jeb Bush, che dopo l’opaca prestazione di mercoledi’ sera e’ stato costretto a smentire che la sua campagna versi in stato comatoso.
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