Da molti mesi mi occupavo, ogni volta che mi fosse possibile, della crudele sorte e pena inflitta a Marcello Dell’Utri. Ho sempre detto, e ribadisco, che non conosco le carte del processo, e non mi interessa più di tanto la vicenda nei suoi aspetti della giustizia ordinaria (o, come molti dicono con buone ragioni, del giustizialismo). Con uno dei miei slogan temerari e impertinenti, sostenevo: “O Berlusconi deve essere trattato come Dell’Utri, o Dell’Utri deve essere trattato come Berlusconi”.
In quasi totale solitudine, ho cercato di mettere in evidenza alcuni aspetti dell’ingiustizia: le accuse e i processi per il Cavaliere e per il suo ex braccio destro, erano uguali e comunque molto simili, in principio il processo addirittura era unico, per tutti e due. Poi, dopo un’estenuante e interminabile vicenda processuale, si è arrivati a una conclusione, passata attraverso la memorabile accusa “concorso esterno in attività mafiose”, che non esisteva secondo legge e poi legge diventò, nonostante l’inverosimile inconsistenza.
In poche parole, questo il risultato: Berlusconi ha avuto un trattamento forse pesante, ma comunque indulgente verso la sua vita politica e civile. Mentre Dell’Utri – che, se ha commesso qualche reato, certo lo ha commesso nell’interesse di Berlusconi, suo capo azienda e amico per la pelle – è stato condannato a sette anni e imprigionato, a 72 anni, in un carcere di massima sicurezza, riservato ai peggiori criminali, mafiosi e no.
Marcello, a parte l’età, è afflitto da gravi malattie, non può essere considerato un personaggio pericoloso per la società, né in grado di reiterare i presunti misfatti, né (dopo anni!) di inquinare le prove: queste sono le condizioni di legge per giustificare l’arresto e la detenzione. In un Paese, per di più, in cui gli arresti domiciliari non si negano a nessuno.
Perché, dunque, tenerlo in carcere, in condizioni di severità estrema? A molti, e naturalmente anche a me, il provvedimento è apparso punitivo. E nessuno ha fiatato più di tanto, la mia flebile voce, in questo fragile diario, non è servita a niente. Una settimana fa Dell’Utri, nel carcere di Parma, ha contratto un’infezione (e la responsabilità non può che essere delle condizioni in cui era detenuto) che lo ha portato al rischio della vita: solo a questo punto è stato trasferito a Roma, a Rebibbia, e subito dopo nell’ospedale Pertini. Mi dicono che, con prognosi tuttora riservata, le sue condizioni sono lievemente migliorate. E nelle ultime ore fioriscono dappertutto appelli alle autorità perché concedano un trattamento più umano, gli arresti domiciliari quantomeno, la richiesta al presidente della Repubblica per un provvedimento di grazia.
Mi associo all’appello a Mattarella, che apprezzo per il rigore e il senso della giustizia. Lo esorto rispettosamente a riflettere sul fatto che Marcello è stato trattato con una crudezza, o spietatezza, assolutamente sproporzionata rispetto alle regole e alle abitudini del nostro Paese. È un uomo malato, inoffensivo; forse, a giudizio di molti, innocente (ribadisco che non conosco le carte e, non voglio entrare, per rispetto della magistratura, nei contenuti del processo). L’aspetto umano, o meglio disumano, è sotto gli occhi di tutti. Presidente, la grazia sarebbe un provvedimento nobile e giusto.
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