“E’ interesse del Paese evitare un prolungamento di siffatta condizione di incertezza istituzionale. E’ egualmente interesse del Paese che non si prolunghi eccessivamente la campagna elettorale affinché possa ristabilirsi al più presto la piena funzionalità delle Assemblee parlamentari e del governo in una fase sempre critica e densa di incognite per l’Italia": quasi non passa giorno che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non sia costretto a lanciare un appello, un monito, un avvertimento per il bene del Paese. L’ultimo è giunto dal Quirinale mercoledì, mentre era già noto l’annuncio che il presidente del consiglio Mario Monti, a causa delle tattiche dilatorie del cavaliere di Arcore – da lui stesso spudoratamente annunciate in un programma televisivo ambiguamente amico di martedì sera – non potrà tenere venerdì 21 la prevista conferenza stampa di fine d’anno e rinvierà anche l’annuncio della sua attesa decisione sul modo di partecipare (o non partecipare) alla prossima campagna elettorale. Il “cav” non ha fatto mistero di voler rallentare l’attività conclusiva del Parlamento e quindi del governo per evitare che, sciolte le Camere, cominci la campagna elettorale e anche lui, a causa del previsto regime di “par condicio” , sia costretto a interrompere il bombardamento di propaganda televisiva cominciato già da alcuni giorni. La cosiddetta “par condicio”, in vigore con legge del 2000, vieta infatti, nei due mesi precedenti le elezioni, “la presenza di personaggi politici e candidati in programmi a carattere non informativo” e stabilisce in ogni caso che “le emittenti radiotelevisive devono assicurare a tutti i soggetti politici con imparzialità ed equità l’accesso all’informazione e alla comunicazione politica”. Un limite insopportabile per chi da anni, incurante del conflitto d’interessi esistente tra la sua attività di imprenditore televisivo e la sua attività politica – e poco o nulla contrastato anche dai suoi avversari politici – ha abusato proprio dei principali canali e programmi televisivi nazionali (quelli di sua proprietà e quelli controllati nella Rai) per imporre la sua immagine e il suo potere.
COSTRINGE D’IMPROVVISO ALLE DIMISSIONI UN GOVERNO, rischiando di far saltare provvedimenti decisivi per il futuro del paese, tenta poi di catturare nelle sue schiere il capo di quello stesso governo, successivamente lo ripudia, spacchetta il suo partito (Pdl) in gruppi e gruppetti bene o male fiancheggiatori, dice di volersi ritirare dalla politica ma sostiene di dover tornare “in campo” per salvare il paese (ma da chi se non da se stesso?), continua ad annunciare decisioni totalmente contraddittorie, costringe a ritardare il festival di Sanremo per paura di attacchi politici, si esibisce in apparizioni televisive penose, quasi del tutto incontrastato anche se sono presenti più giornalisti in trasmissioni per lo più addomesticate; insomma, ne fa una più di Carlo in Francia e di Bertoldo in Brianza – circondato per lo più da bertoldini e cacasenni – e intanto perfeziona la sua lunga opera di danneggiamento del paese e della cosa pubblica, riuscendo perfino a minacciare e scombinare – in cauda venenum – la conclusione di una legislatura da lui devastata e il regolare svolgimento di elezioni. Ma che cosa aspettiamo, che cosa aspetta ancora una parte del paese a levarselo dalle scatole? Dobbiamo lasciare solo a Twitter – perfino sui forum che, aperti per sostenerlo, finiscono per spernacchiarlo – o a una “comica così atipica” (parole di Pippo Baudo) come Luciana Littizzetto il compito di dire la verità quando disperata afferma che “ci ha rotto il c…”? Mentre il dannato “spread” (quello che il “cav” definisce un imbroglio) scende sotto i 300 punti, l’euro si rafforza, la borsa va bene, il centro si organizza intorno a Monti e Bersani viene accolto bene in Europa, popolo d’Italia, gente d’Italia tutta, ovunque tu sia, senza violenza e anche senza parolacce preparati a battere un colpo, uno solo ma buono, il 24 Febbraio 2013.
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