Esattamente venti anni fa – era il 2003 – in un allarmante Report inviato alla Farnesina da Dakar, nella mia veste di Capo dell’Ufficio consolare competente per sette paesi dell’Africa Occidentale, segnalavo che se non si fosse avviato un ampio progetto di strategia politica e di presenza economica nello scacchiere dell’intera Africa – sub-sahariana e non – le nostre Ambasciate si sarebbero ridotte a posti di polizia amministrativa per la gestione dei visti di ingresso sul territorio Schengen e ad uffici per l’assistenza dei connazionali impegnati nelle attività delle poche imprese italiane ancora presenti in Africa.
Così è stato. La nostra presenza in Africa si limita oggi a gestire l’evacuazione e il rimpatrio degli italiani durante le ormai frequentissime crisi che hanno portato, nel giro di qualche anno, a ben otto colpi di stato (dal Mali alla Guinea, dal Burkina Faso al Niger, dal Chad al Gabon) in quei paesi, tra i più poveri al mondo, fin qui dominati dal neo-colonialismo francese ed ora sempre più sotto l’influsso di Mosca e Pechino, per la quantità e qualità di risorse del sottosuolo che ne fanno territori strategici per il futuro del pianeta.
Sicchè, mentre il lassismo dell’ultimo decennio ci ha progressivamente portato a perdere il controllo del Nord Africa in favore di Russia e Turchia, saldamente installatesi in Libia, Algeria e Tunisia, la nostra politica estera si è ridotta a gestire la sicurezza dei connazionali residenti nei paesi in crisi.
“Non c’è da preoccuparsi per i 170 italiani presenti in Gabon – ha detto il nostro Ministro degli esteri Antonio Tajani – stanno bene e la situazione è sotto il controllo della nostra Ambasciata”. Per l’ennesima volta saranno forse evacuati da un paese in guerra e ricevuti personalmente dal Ministro all’arrivo a Ciampino.
A questo sembrerebbe ridotta la politica estera della Farnesina in Africa, preferendo perseguire la via di quell’estremismo atlantico che ci ha trascinato in una guerra europea senza uscita, mentre schegge di personale diplomatico continuano ad essere proiettate alla guida di servizi governativi sensibili, occupandosi magari di filo-putiniani invece che di diplomazia e di percorsi di pace.
Questo decadimento della politica estera fa seguito ad una stagione d’oro, inaugurata negli anni ’80 dalla visione strategica di Craxi e proseguita con la politica aggregante di Berlusconi. Craxi aveva tenuto a bada gli americani a Sigonella ed aveva favorito l’insediamento di Ben Alì a Tunisi con l’appoggio dei nostri Servizi segreti. Berlusconi aveva rinsaldato i rapporti con Tripoli ed aveva sedato i bollori della Nato facendo dialogare Putin con Obama.
D’altronde, siamo oggi in buona compagnia, in Europa, quanto a “chiarezza” in politica estera. “Il colpo di stato in Gabon è incostituzionale” ha detto il Ministro degli esteri inglese James Cleverly. Come se esistessero colpi di stato costituzionali…