Cresce l’importanza della colazione, cala quella del pranzo. Così può riassumersi il nuovo trend in fatto di consumi alimentari degli italiani, come emerge dalla sintesi che Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi presenta oggi a Tuttofood in occasione del convegno “Alimentazione e salute: ruolo e impegni della ristorazione”, con la presenza del Presidente di Fipe Lino Enrico Stoppani, gli chef Davide Oldani, Carlo Cracco, Moreno Cedroni, il presidente di Unaproa Antonio Schiavelli, Marisa Porrini dell’Università di Milano e del sottosegretario del Ministero della Salute Davide Faraone.
“Dallo studio emergono alcuni elementi significativi – commenta Lino Enrico Stoppani, Presidente di Fipe -. Il primo è il fatto che si mangia sempre più fuoricasa: oggi il 35% della spesa alimentare delle famiglie è indirizzato su bar, ristoranti, pizzerie, gelaterie, pasticcerie, a testimonianza dell’importanza e il valore della tradizione tutta italiana della convivialità, al contrario di quanto accade nei Paesi del Nord Europa. Questo comporta per i pubblici esercizi l’assunzione di una particolare responsabilità nei confronti della clientela per promuovere una sempre maggiore attenzione all’aspetto del benessere, tenendo anche conto delle nuove esigenze alimentari e delle intolleranze. A tale proposito la nostra sintesi evidenzia una percezione particolarmente positiva nei confronti dei bar e ristoranti, che fa comprendere quanto il mondo dei pubblici esercizi rappresenti per i clienti una sorta di grande famiglia dove apprezzare la qualità e in cui riporre fiducia. Ad esempio è positivo vedere dalla ricerca di Fipe che i clienti non prestano particolare attenzione al tema della tracciabilità degli alimenti in quanto si affidano al ristorante che hanno scelto. Sulla base di questo legame, l’aspetto su cui concentrare gli sforzi per il futuro sarà soprattutto la comunicazione alla clientela dei valori di sostenibilità, incentivando ad esempio la virtuosa pratica della family bag”.
Gli italiani e il cibo: come sono cambiati gli stili alimentari negli ultimi vent’anni
Dal 2000 a oggi molte cose sono cambiate. La prima è che si mangia sempre più fuoricasa, mentre al contempo scende il peso dei consumi domestici, anche se in Europa l’Italia continua ad essere un Paese a forte “vocazione” alimentare. In Italia resiste il cosiddetto “modello mediterraneo”, con un peso percentuale dei consumi alimentari sul totale dei consumi che si attesta sul 14%. Per quanto riguarda il peso percentuale della ristorazione sul totale dei consumi, l’Italia con il 7,6% si pone sopra il valore dell’Eurozona (7,1%) al secondo posto dopo la Spagna (14,6%), battendo Francia, Germania e Regno Unito.
I cambiamenti non riguardano soltanto il valore e la quantità di cibo acquistato e consumato, ma anche i comportamenti, o meglio, gli stili alimentari: ad esempio nel 1995 il 76,6% della popolazione considerava il pranzo il pasto principale della giornata, nel 2015 la percentuale è del 67,2%. In diminuzione anche la percentuale di italiani che pranza a casa (dall’82,8% del 1995 al 73,4% del 2015).
Di conseguenza cresce il valore della cena: il 23,2% del campione lo considera il pasto principale della giornata, contro il 18,5% del 1995. Un fenomeno che purtroppo non interessa solo le fasce adulte della popolazione ma anche i bambini che assumono i modelli alimentari dei genitori. In questi ultimi vent’anni si registra anche qualche fenomeno positivo come l’aumento della popolazione che inizia la giornata con una colazione ben più sostanziosa di quanto si facesse in passato (dal 71,6% del 1995 all’81,2% del 2015): termina in pratica la cosiddetta era del “a colazione bevo un caffè al volo”, ora insieme a caffè e cappuccino si mangia anche qualcosa.
Negli anni è significativamente cambiata la stessa tipologia di prodotti consumati. La polarizzazione dei comportamenti alimentari è il tratto distintivo di questa epoca, con una parte minoritaria di italiani che vivono il rapporto con il cibo all’insegna del salutismo, e un’altra maggioritaria che al contrario mangia con sempre minore attenzione al concetto tradizionale di cibo come fonte di benessere. Sul piano pratico questi trend si traducono da un lato in un calo della quota di popolazione che consuma quotidianamente carboidrati (dal 91,5% del 1995 all’80,9% del 2015) e proteine, e in un aumento di coloro che prediligono ortaggi (dal 41,8% del 1995 al 45,5% del 2015) e di chi presta attenzione al consumo di sale. Dall’altro lato cala la quota di popolazione che consuma la frutta almeno una volta al giorno (dall’82,2% del 1995 al 75,4% del 2015) e quella di chi utilizza olio di oliva e grassi vegetali per la cottura e soprattutto per il condimento a crudo.
Comportamenti opposti che Fipe rintraccia da una parte nella riduzione della spesa per pane e cereali (-7,5% a prezzi costanti nel periodo 2000 – 2015), per la carne, principalmente rossa (-8,1%), per vegetali (-11%) e frutta (-11,4%) e dall’altra nell’aumento del tasso di popolazione in sovrappeso o addirittura in condizioni di obesità. Si tratta, in questo secondo caso, di 5 milioni di persone che mostrano un trend di crescita almeno sul lungo periodo.
I consumi fuoricasa: cosa mangiano gli italiani al ristorante
Anche nei consumi al ristorante si trovano le conferme del cambiamento dei modelli alimentari: la carne viene segnalata in forte calo, così come l’uso del sale e del burro. Cresce significativamente il consumo di verdura, mentre viene confermata una scarsa attenzione alla frutta. In controtendenza al ristorante il consumo di primi piatti (soprattutto della pasta che resta un pilastro del modello alimentare italiano), e dei dessert, legati al piacere della convivialità. L’aumento delle intolleranze alimentari, delle allergie e delle malattie metaboliche fa in modo che la ristorazione si attrezzi sempre di più per dare risposte ai consumatori con queste problematiche. Oltre i due terzi dei ristoranti intervistati dichiara di avere menù per chi ha specifiche esigenze di salute e/o intolleranze mentre sei ristoranti su dieci sono in grado di dare risposta a quei consumatori che hanno particolari esigenze dietetiche.
Filiera corta, stagionalità e sostenibilità: i nuovi driver della ristorazione
L’importanza della ristorazione nei consumi alimentari delle persone sta determinando una nuova sensibilità e responsabilità da parte delle imprese del settore, quantomeno in quelle basate su modelli di offerta più tradizionali. Partendo da questa consapevolezza si scopre che nella ristorazione i consumatori ricercano pietanze più leggere ma senza lo stress della lista delle calorie: il 59% dei clienti si dimostra poco interessato a conoscere questo aspetto.
E per quanto riguarda la tracciabilità e provenienza degli alimenti, la fiducia riposta dai clienti nei ristoranti selezionati fa in modo che questi aspetti non siano argomenti a cui prestare grande attenzione. Attenzione che viene assicurata dai ristoratori, i quali privilegiano sempre più la qualità dei prodotti e il rispetto dei cicli stagionali. L’uso di prodotti Dop e Igp è ormai una larga consuetudine: il 90% degli intervistati punta sulle filiere corte, mentre è in forte espansione l’uso di prodotti bio. L’84% dei ristoratori cambia il menù al massimo ogni 4 mesi.
Un altro driver della ristorazione riguarda l’attenzione all’ambiente e al tema dello spreco alimentare. I pubblici esercizi sono sempre più sensibili ad una gestione sostenibile della propria attività, ad esempio limitando gli sprechi idrici, scegliendo lampade a led, elettrodomestici a basso consumo o ricariche per i detergenti. Un aspetto su cui lavorare riguarda la promozione di questi valori nei confronti della clientela e del pubblico: ad esempio solo un ristorante su quattro usa acqua microfiltrata e solo il 14% del campione intervistato dona il cibo non utilizzato ad associazioni caritatevoli. Su questo aspetto la legge sullo spreco alimentare entrata in vigore nel mese di settembre 2016 potrà avere effetti positivi.
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