L’Ambasciatore d’Italia in Venezuela, Placido Vigo, da quando si è insediato a Caracas ha percorso già diverse centinaia di chilometri per visitare le comunità italiane residenti nelle varie province del Paese latinoamericano.
Intervistato da Mauro Bafile, direttore de “La voce d’Italia”, quotidiano italiano a Caracas, il diplomatico spiega: “Ho sempre lavorato così. Sono sempre andato in giro per conoscere i nostri connazionali. Credo che non si possa stare dietro a una scrivania e pensare di sapere tutto. Gli incontri sono sempre stati molto emotivi – aggiunge -. Mi sono state fatte le classiche domande; le stesse che farei io stando all’estero. E cioè, in che modo lo Stato mi può aiutare”.
Vigo torna sul tema dell’Ospedale Italiano, “un progetto che stiamo cercando di realizzare; un progetto che dovrà essere gestito dalla nostra comunità. Prossimamente faremo una riunione con l’associazionismo. A fine gennaio convocheremo una mega-riunione per permettere a tutti di sottoscrivere, qualora lo desiderassero, delle quote associative. È prevista una missione del Direttore degli Affari Internazionali dell’Istituto Europeo di Oncologia. Spero che questa possa coincidere con quella del Presidente della Croce Rossa Internazionale. Poi sarà necessario lanciare un’iniziativa molto complessa, perché gestire un Ospedale non è come dirigere una associazione. Sarà necessario assumere personale. Abbiamo già un gruppo di 25 medici che sono disposti ad operare nell’Ospedale. Ma c’è ancora molto da fare”.
“Abbiamo realizzato delle riunioni. Ho invitato il presidente del Centro Italiano-Venezuelano di Caracas, i rappresentanti del Cgie e dei Comites. Ne ho parlato nell’ambito della riunione del Sistema Paese. Ma la vera grande riunione la faremo a fine gennaio quando ci saranno il presidente della Croce Rossa Internazionale e il rappresentante dell’Istituto Europeo di Oncologia”.
“Dobbiamo fare in modo che questi figli d’Italiani, continuino ad essere italiani e che continuino ad esserlo anche i nipoti. Io sono sempre dell’avviso che dove c’è un italiano, c’è anche una bandiera italiana. Se riusciamo ad unire questa forza, saremo più forti come collettività. Se la comunità italiana è più unita, io posso dire che ho 150mila, 300mila italiani. Ben diverso sarebbe dire che ho una comunità di 4mila persone. In questo caso, il numero fa sostanza. Certo, è necessario vincere la preoccupazione e soprattutto la diffidenza. Bisogna superare questo atteggiamento di delusione e di disaffezione. E bisogna convincere le persone a credere. Allora, tutti parteciperanno. Non so se è chiaro. Questo, però, è un lavoro che richiede tempo, amore”.
L’Ambasciatore Viro ha parlato anche di una nuova sede per tutte le istituzioni: “In questo momento, come a Buenos Aires durante la crisi del 2001, c’è la possibilità di fare un investimento immobiliare a buon prezzo, a un costo nettamente inferiore a quello di mercato. Noi abbiamo due sedi di nostra proprietà. Sono la residenza e la Cancelleria diplomatica. Ne abbiamo poi altre in affitto che costano moltissimo al Ministero. C’è poi un problema di sicurezza. Se riusciamo ad avere tutti gli uffici in un unico edificio, possiamo garantire spazi più ampi ai nostri connazionali che oggi attendono in strada esposti alle intemperie e col pericolo di essere derubati. Possiamo offrire una grande sala per le riunioni al Comites e uffici alla nostra Camera di Commercio. Possiamo garantire una maggiore efficienza e funzionalità in caso di emergenza. Per ora – ci tiene a metterlo in risalto – è solo un progetto. Siamo nella fase burocratica. Ho inviato la proposta, dopo aver analizzato oltre venti ipotesi analoghe, su quella che ritengo la soluzione migliore, sulla base della mia esperienza, dopo aver acquistato già tre sedi. L’Amministrazione farà la sua valutazione tecnica. Mi auguro che possa essere considerato opportuno avviare una missione ispettiva per la verifica della sede, il controllo del prezzo e poi il contratto d’acquisto. Bisognerà poi realizzare i lavori di adattamento interno e poi il trasloco degli uffici. È una operazione difficile. Credo che se la riusciamo a portare a buon termine, chi entrerà in quell’edificio si sentirà come a casa: in Italia. Sarà un luogo decoroso, pulito, ampio, con i servizi di ultima generazione. Ripeto, io potrei restare in ufficio senza fare molto. Ma preferisco lavorare in questo modo perché mi stanno a cuore i connazionali. Se non fosse così sarei rimasto in Italia”.