Se i prodotti Made in Italy acquistati nel mondo fossero tutti davvero di provenienza italiana l’export agroalimentare passerebbe dagli attuali 50,1 miliardi di euro a quasi 130. Se poi si riuscissero a sostituire anche i prodotti contraffatti si supererebbero i 150 miliardi. In pratica l’export agroalimentare si potrebbe moltiplicare per tre, con vantaggi enormi per i nostri agricoltori, le industrie di trasformazione e l’economia italiana nel suo complesso.
A fare il punto sull’Italian Sounding è uno studio di The European House – Ambrosetti, presentato durante la sesta edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni”, a Bormio e pubblicato da Affari & Finanza.
L’Italian Sounding, spiegano gli analisti di Ambrosetti, è più subdolo e fa più danni al Made in Italy della contraffazione, perché il Parmesan. per esempio, tecnicamente non è un prodotto contraffatto, ma un formaggio prodotto in Paesi diversi dall’Italia che però «evoca denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni e marchi del BelPaese».
Gli analisti di Ambrosetti suggeriscono – spiega Affari & Finanza – di far conoscere e valorizzare con maggiore efficacia il marchio Made in Italy: si possono adottare strategie diverse, che vanno dal coinvolgimento delle comunità di italiani all’estero, che tra l’altro sono in testa tra gli acquirenti dei prodotti italiani, ma anche tra quelli Italian Sounding, alla promozione delle etichette impossibili da imitare, e chiaramente distinguibili, dalle Dop alle Igp, ma potrebbe anche essere utile creare una unica etichetta identitaria.