Dal 2018 l’età per la pensione di vecchiaia (soggetti con anzianità contributiva, anche estera, al 31 dicembre 1995) sarà equiparata e allineata per tutti a 66 anni e 7 mesi con 20 anni di contribuzione (sia per gli uomini che per le donne del settore pubblico e del settore privato), perfezionabili anche con la totalizzazione dei contributi versati all’estero.
La variazione interessa: le lavoratrici dipendenti del settore privato (da 65 anni e 7 mesi a 66 anni e 7 mesi); le lavoratrici autonome (da 66 anni e 1 mese a 66 anni e 7 mesi); l’accesso all’assegno sociale (da 65 anni e 7 mesi a 66 anni e 7 mesi).
I requisiti invece per la pensionata anticipata nel 2018 saranno di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, perfezionabili anch’essi con il meccanismo della totalizzazione.
Ricordiamo invece che dal 2019 l’età per la pensione di vecchiaia verrà aumentata a 67 anni (fatte salve le esenzioni per i lavori gravosi) e l’anzianità contributiva per la pensione anticipata passerà a 43 anni e tre mesi per gli uomini e 42 anni e tre mesi per le donne.
Giova ricordare che gli anticipi dell’età pensionabile previsti con l’APE sociale e l’APE volontaria non sono applicabili ai residenti all’estero, mentre invece sottolineiamo che per quanto riguarda l’anticipo previsto per i lavori precoci ed usuranti e l’esenzione dall’aumento dell’età pensionabile per le aspettative di vita, fino ad ora non è stato ancora chiarito né dal Ministero del lavoro né dall’Inps se sia applicabile anche ai lavoratori pensionandi residenti all’estero (sebbene nutriamo forti dubbi vista la particolarità dei requisiti e soprattutto la difficoltà delle verifiche del diritto).
Per il 2018 si prevede inoltre una modesta rivalutazione delle pensioni – anche di quelle pagate all’estero – pari all’1,1 per cento. Quindi l’importo del trattamento minimo sarà di 507,42 euro mensili e di 6.596,46 euro annui. Lo stesso aumento percentuale (1,1) sarà applicato ai trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo Inps, mentre invece tale aumento sarà inferiore in maniera progressiva per gli importi superiori a tale soglia.
La stragrande maggioranza delle pensioni erogate all’estero, considerati i bassi importi, sarà ovviamente rivalutata dell’1,1 per cento. Gli indici di rivalutazione definitivo per l’anno 2018 si applicano anche alle prestazioni a carattere assistenziale – pensioni e assegni sociali – che però non sono esportabili all’estero.
Di seguito riportiamo le percentuali di aumento suddivise per scaglioni:
• pensioni fino a 3 volte il minimo, fino a 1.522,23 euro mensili: rivalutazione pari all’1,1%;
• pensioni di importo da 3 a 4 volte il minimo, fino a 2.029,64 euro mensili : rivalutazione pari all’1,045%;
• pensioni di importo da 4 a 5 volte il minimo, fino a 2.537,05 euro mensili: rivalutazione pari allo 0,825%;
• pensioni di importo da 5 a 6 volte il minimo, fino a 3.044,46 euro mensili: rivalutazione pari allo 0,55%;
• pensioni di importo oltre 6 volte il minimo, oltre 3.44,46 euro mensili: rivalutazione pari allo 0,485%.
Per quanto riguarda invece il diritto all’integrazione al minimo per il 2018 ricordiamo che il limite di reddito personale che consente l’integrazione al minimo per intero sarà di 6.596,46 euro mentre invece quello personale che esclude la sua concessione sarà di € 13.192,92.
Il limite di reddito coniugale che consente l’integrazione al minimo per intero sarà di € 19.789,38 mentre quello che esclude la sua concessione sarà di € 26.385,84.
Per quanto riguarda invece la maggiorazione sociale dei trattamenti minimi (legge n. 448/2001 e legge n.127/2007) – importo mensile 136,44 euro – il limite di reddito personale da non superare per il 2018 sarà di 8370,18 euro e quello coniugale di 14.259,18 euro.
Ricordiamo tuttavia che sia l’integrazione al minimo che le maggiorazioni sociali sono esportabili solo nei Paesi extracomunitari a determinate condizioni contributive e reddituali.
Marco Fedi e Fabio Porta, deputati Pd eletti all’estero