In un momento tanto delicato per la tenuta delle dinamiche di integrazione europee e per le criticità che ne condizionano la futura definizione, un’articolo-intervista come quello apparso nell’edizione di mercoledì di Repubblica strutturato intorno ad un’intervista al premier serbo dal titolo confusionario e provocatorio al tempo stesso (“Qui nei Balcani è tornato l’odio“) rischia di alimentare una partigianeria informativa, parziale e funzionale ad una certa idea storico-politica di quell’area e del passato che la condiziona, che diventa deleteria e controproducente quando si parla di Balcani.
Senza voler entrare nel merito di quanto avrebbe effettivamente detto il Premier Vucic, che è noto a chi segue tali questioni, ciò che merita attenzione è l’eccesso di sintesi che ne viene fatta nelle colonne di Repubblica segnatamente per quanto riguardo il quesito posto dal giornalista secondo cui la Croazia ” ostacola i (…) negoziati d’adesione alla Ue e rivaluta collaborazionisti e criminali di guerra del passato”, traghettando il confronto su di un livello che lo stesso Vucic sembrava non aver raggiunto. La conferma di ciò sembra emergere proprio dai contenuti della replica del Premier ad un quesito tanto insidioso.
Ma non può non colpire un approccio giornalistico di tale levatura che soffia sul fuoco in uno scenario in cui certamente non si possono ignorare le criticità geopolitiche dell’area anche in ragione delle palesi omissioni informative a cui il giornalista sembra essere più volte incappato.
Si dimentica che al momento in Serbia vige una norma che ne riconosce giurisdizione universale su tutti i crimini commessi nelle guerre nella ex Jugoslavia, anche su quelli avvenuti sul territorio della Croazia e di cui possono eventualmente essere responsabili cittadini croati. Si tratta di una norma che non è in linea con gli standard europei ed è in contrasto con quanto disciplinato nell’Ue in tema di cooperazione giudiziaria e la sussistenza di tale norma è chiaramente ostativa rispetto ad un percorso di integrazione in UE. Un’integrazione verso la quale Zagabria ha mostrato sempre pieno supporto anche in ragione del ruolo ricoperto dalla Croazia quale indiscusso interlocutore di Bruxelles nell’area.
Questo è un punto che merita attenzione, infatti nell’articolo si fa spesso riferimento alla mission di una pace balcanica, conditio inderogabile per la crescita ed integrazione dell’area: una mission pienamente condivisa dal governo di Zagabria. Ma proprio per questo si fa fatica a comprendere perché la Serbia non intende operare una cooperazione con Zagabria su questo versante esorcizzando il prosieguo delle ingerenze sulla giurisdizione croata che di fatto ne impedirebbero, tra le altre cose, l’integrazione nell’UE.
La parzialità informativa emerge anche a proposito del silenzio che lo stesso giornalista avalla, circa la sorte di un migliaio di prigionieri croati trasferiti durante il conflitto in territorio serbo, il cui superamento – anche nella prospettiva di una condivisibile ed auspicabile conciliazione risolutiva – potrebbe rappresentare un interessante premessa per l’integrazione in chiave europea dell’area.
Lasciano perplessi ulteriormente i continui rimandi a guerra tra spie e a cattura di 007 croati da parte del governo serbo che sembrano più degni di un giornale scandalistico serbo che attinenti alla realtà dei fatti, che si conferma essere ancora misconosciuta.
Il dito puntato della Serbia contro gli altri paesi balcanici, sembra ulteriormente ignorare anche altri aspetti che al momento condizionano l’impasse della mancata integrazione dell’area: non si fa il minimo cenno alla reale situazione della comunità croata in Bosnia, in particolar modo nella “Repubblica Srpska” di Milorad Dodik e dei mancati riconoscimenti e della compromissione di diritti inderogabili. Uno scenario su cui la penuria di informazioni e di approfondimenti è lampante e meritevole di superamento, soprattutto all’indomani della pubblicazione su uno dei principali quotidiani italiani, di un articolo così “unilaterale”.
Da cittadino italo-croato ed esperto sotto più profili, dell’area balcanica, ritengo che l’Europa abbia raggiunto un livello di maturità storico-politica tale da pretendere che su determinati “dossier” ci sia chiarezza e si vada ben oltre l’unilateralità di approccio purtroppo alimentato anche da giornalisti nostrani, che spesso condiziona l’immagine di un paese alimentandone inevitabilmente pregiudizi.
L’Italia è uno degli interlocutori più attivi di Bruxelles con i Balcani anche in ragione della favorevole posizione geografica, e si è particolarmente distinta nel percorso di integrazione di Croazia e Slovenia negli anni passati, pertanto rischia di essere non armonico con la nostra storia, e con la nostra esperienza, ridurre l’approfondimento sul tema ad informazioni frammentate e aspetti storici omessi, non solo perché non ne gioverebbe in termini di onestà storica, ma perché si rischierebbe di alimentare un clima delicato, in cui gli attriti e le incomprensioni dovrebbero essere soltanto parte di un passato non tanto lontano, e di cui la regione e l’Europa tutta portano ancora le ferite.
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