Il compito che Silvio Berlusconi assegna al governo delle larghe intese (porre fine alla lunga guerra civile combattuta negli ultimi venti anni da destra e sinistra) e’ teoricamente un fatto di buon senso. Ma sembra assai distante dall’idea che ne ha invece il Pd secondo il quale l’esecutivo Letta e’ di servizio e non di pacificazione. Non si tratta di un elemento lessicale ma politico. Il Cavaliere interpreta l’accordo di maggioranza come un’occasione di mettere d’accordo centrosinistra e centrodestra non solo su quelle riforme che le due parti non possono fare da sole (come dimostra la storia), ma anche sulla chiusura dello scontro ventennale tra politica e magistratura. E’ come se Berlusconi si aspettasse una qualche forma di aiuto dai suoi avversari nella partita che lo contrappone ai giudici e che i suoi fedelissimi interpretano come l’atto finale del tentativo di estrometterlo dalla vita politica italiana. Ma e’ proprio quello che i democratici non possono o non vogliono garantire. Non a caso su questo scoglio, una sorta di salvacondotto per chiudere una volta per tutte la battaglia processuale contro Berlusconi, sono naufragati in passato tutti i tentativi di riforma, dalla Costituzione alla giustizia. Su questo punto si incaglio’ la Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, si sono arenati tutti i disegni di legge di riforma della giustizia, e’ stato bocciato con referendum il pacchetto di riforme costituzionali voluto dal centrodestra.
L’impressione e’ che si stia ripetendo il copione. Non a caso Matteo Renzi dice a Berlusconi che questa insistenza sul presidenzialismo, quando non si e’ entrati nel merito di nessun capitolo del pacchetto riforme, puzza di bruciato lontano un miglio. Il sindaco di Firenze pensa che la priorita’ sarebbe occuparsi dei problemi economici e di una riforma elettorale (tipo sindaco d’Italia) che funzioni anche da clausola di salvaguardia nel caso si debba tornare a votare. In realta’ anche Renzi ha i suoi obiettivi: l’invocata urgenza della riforma elettorale fa sospettare che non sia solo il Cavaliere a poter rovesciare all’improvviso il tavolo. Il sindaco di Firenze appare un ‘candidato a tutto’, dalla segreteria alla premiership, e dunque vuole tenersi le mani libere e non farsi invischiare nell’alleanza con il Pdl. Preferisce per ora svolgere il ruolo della ‘coscienza critica’, con tutti i vantaggi che cio’ comporta.
Tuttavia le cose non sono cosi’ semplici. C’e’ innanzitutto l’accordo contratto con Giorgio Napolitano per una legislatura costituente; e c’e’ poi l’obbligo di fronteggiare la grave crisi del lavoro, certamente il problema chiave dell’esecutivo. Il governo ha preannunciato per il 14 giugno un vertice dei ministri dell’Economia di Italia, Francia, Germania e Spagna a Roma per coordinare le iniziative da assumere nel Consiglio europeo di fine mese contro la disoccupazione: si tratta di una novita’ importante che dimostra come Letta non sia disposto ad uscire da questo strategico appuntamento a mani vuote. E’ chiaro che la sua forza sullo scenario Ue sara’ direttamente proporzionale alla pacificazione del quadro politico. Il capo dello Stato si e’ gia’ esposto in sua difesa.
Ora le tensioni interne del Pd, e la corsa alla segreteria, rischiano di compromettere l’azione del governo. Soprattutto in un momento cosi’ delicato di negoziati con la Germania (perche’ di questo si tratta, vertice o non vertice). Secondo i sostenitori di Epifani, Renzi dovrebbe darsi una calmata perche’ non tutto puo’ dipendere dalla sua necessita’ di decidere subito se correre ancora per la poltrona di sindaco di Firenze.
Allo stesso modo, anche i pasdaran del berlusconismo hanno le loro responsabilita’. Le critiche alle colombe del Pdl e i continui avvertimenti di essere pronti ad una reazione ‘fortissima’ contro l’accanimento giudiziario dei giudici destabilizza il fragile equilibrio sul quale si regge il governo e in fondo svuota la credibilita’ del suo programma perche’ si ha sempre l’impressione che qualcosa possa accadere da un momento all’altro. E’ fin troppo facile prevedere che questi due nodi dovranno essere i primi ad essere sciolti con urgenza dal premier (con l’aiuto del Colle) se si vuole davvero evitare il ripetersi delle solite, fallimentari liturgie.
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