Nel settembre 2009 Daniela Santanchè fu aggredita e colpita con un pugno mentre manifestava, davanti alla Fabbrica del Vapore, contro l’ingresso delle donne in burqa che andavano a festeggiare la fine del Ramadan. Nei giorni immediatamente precedenti l’allora europarlamentare aveva lanciato un appello contro l’uso del burqa come atto di solidarietà e testimonianza per la tragica fine della giovane Sanaa, uccisa dal padre per la sua relazione con un ragazzo italiano. “Il burqa è come l’infibulazione perché sono strumenti per annullare la sua identità più profonda", aveva detto la destrorsa di costituzione, sostenitrice di un identitarismo con cui combattere il multiculturalismo, l’altra faccia della medaglia dell’assunto che ogni cultura ha valore a casa propria, e così noi abbiamo più diritti nel nostro Paese.
Argomento sciocco sostenuto con l’insulso ragionamento che a casa nostra decidiamo noi, che, implicitamente, sottende l’uguale questione di chi sei per dire a qualcuno, in qualsiasi luogo, come vivere, ma che stupisce perché, apparentemente, mostra che la destra si è appropriata di argomenti della sinistra, grazie o all’ignavia connivente di quest’ultima o al fatto che i progressisti si sono dimenticati, ormai da anni, del progresso. Naturalmente la Santanché combatte un comunitarismo terribile e perncicioso con un altro comunitarismo altrettanto conservatore, difendendo una cultura che ha fatto le proprie conquiste a scapito delle persone, una cultura che sostiene la conservazione dello status quo, l’accartocciamento sui propri valori in base ai quali i mussulmani che mettono gli omosessuali fuori legge sono barbari, ma, allo stesso tempo, questi non hanno certo il diritto di sposarsi.
Daniela Garnero Santanchè, che ha preferito tralasciare il suo cognome in favore di quello del marito, celebre chirurgo estetico romano, da sempre guida della corrente dei falchi inviati dall’invincibile Caimano nei più impervi salotti televisivi a difendere strenuamente le sue ragioni, di recente ha abbandonato furente due trasmissioni e chiuso un intervento al tg di La7 con un simpatico saluto alla torinese Luciana Littizzetto; ha avutola sua ascesa in politica nel 2001, con il glorioso secondo mandato berlusconiano, negli anni delle Twin Towers, dove si è ritagliata una apprezzabile nicchia come campionessa, tra le altre cose, dell’anti-islamismo nostrano.
Rieletta nel 2006, nel 2007 si distaccò dall’allora momentaneamente sconfitto Berlusconi e fondò "La Destra", movimento esplicitamente nostalgico di cui fu il candidato alle successive elezioni del 2008, prima donna candidato premier della storia italiana. Ma, dopo la sconfitta ed il trionfo di B, fu lesta a ritornare sotto la sua ala protettiva, divenendone una delle Amazzoni più combattive.
Di fatto “rimandata” come vicepresidente della Camera, ha dichiarato di essere “più abituata a dare che ricevere”, innescando una girandola di doppi sensi sulla frase.
Ma la “pitonessa”, secondo la definizione di Orfini – la cui creatività non è inficiata dalla progressiva esplosione del suo Pd, in cui i Nuovi Turchi combattono il vecchio apparato ed assieme impallinano Renzi (che intanto si sente “un piccione” a cui sparano tutti) – non si dà per vinta e dopo un incontro di due ore a casa di B che gli promette di sostenere ancora la sua candidatura, si presenta ancora più agguerita e giura che se il governo (in affanno per reperire i soldi almeno per uno straccio di posto ai giovani) non abolisce IMU ed IVA, bisognerà cercare un’altra maggioranza.
L’Espresso dice che è più furiosa del solito. Ma ha intenzione di andare avanti a combattere. Tanto, scrive l’Unità, anche dopo lo stop di alcuni giorni fa, è lei l’unica probabile vincitrice di questo braccio di ferro e, alla fine, riuscirà ad avere la carica e così un pezzettino di potere in più per lavorare ai fianchi il segretario che vorrebbe archiviare e che, per questo, è preoccupato per l’imminente trapasso del partito che amministra e per il barcollare della poltrona governativa, e sta cercando, disperatamente, una pax transitoria.
Come Brunetta, Santanchè è poco amata dai colleghi, eppure, al momento del voto sul capogruppo i malumori conditi da minacce di raccolte firme e clamorose diserzioni si sono sciolti come neve al sole di fronte all’ordine di scuderia di Berlusconi. Ma stavolta è un po’ diverso: non basta mettere in riga i franchi tiratori e se Alfano, obtorto collo, intende tenere alta la bandiera di Daniela, dovrà cercare un surplus di intesa con il Pd o giocare la carta della prassi parlamentare che assegna quel posto al suo partito. Convincendo, o piuttosto costringendo, i Cinquestelle a digerire “Frau Blucher”, la sinistra governante di “Frankenstein Junior” e nuovo soprannome coniato dalla ex capogruppo grillina Lombardi per la combattiva Santanché.
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