Dopo una vittoria senza precedenti, con la direzione di domani il Pd potrebbe sperimentare un’altra novita’ da quando il partito e’ nato nel 2007: una pax interna non solo di facciata. Non che sia cambiato l’atteggiamento di Matteo Renzi, che da mesi ha proposto alla minoranza di entrare in segreteria e di indicare un nome per la presidenza vacante. Ma il trionfo elettorale ha determinato una metamorfosi nella sinistra, consapevole dei meriti del leader. E ora pronta a dare il proprio contributo accettando il coinvolgimento negli incarichi di partito.
Piu’ che un dibattito su nomi e cariche, pero’, giovedì la direzione sara’ piu’ che altro una festa per l’esito elettorale. Anche perche’ l’orientamento condiviso e’ di riorganizzare segreteria e gruppi parlamentari dopo i ballottaggi dell’8 e in vista dell’assemblea del 14 giugno che dovra’ eleggere il presidente del partito.
Per la prima volta, dopo anni, dunque, parlamentari e dirigenti non saranno chiamati a fare un’analisi della sconfitta, puntandosi il dito reciprocamente. Tutti, rottamati, astri nascenti della minoranza e fedelissimi, riconoscono a Renzi il merito di aver recuperato voti del Pd, fuggiti alle politiche, e di aver attratto voti moderati, che mai avevano scelto il Partito Democratico. Pier Luigi Bersani, che un anno fa fu fermato dall’ondata grillina, ammette che "Renzi in campagna elettorale e’ stato bravissimo: ha trovato un’empatia con un Paese impaziente, dimostrandosi impaziente lui stesso”. E Massimo D’Alema torna, in un editoriale sul sito di Italianieuropei, a riconoscere i meriti del premier "e del Pd", precisa, vedendo nell’esito elettorale la richiesta di "una svolta profonda nelle politiche Ue".
Lodi che, ironizzano i renziani, in alcuni casi sono interessate a prospettive personali future visto che non e’ un mistero che nomi come quelli di Massimo D’Alema ed Enrico Letta girano tra i rumors per i futuri incarichi della commissione europea. In realta’ la minoranza si rende conto, davanti al successo di Renzi, che un ruolo di opposizione interna non sarebbe capito dall’elettorato. E non vuole restare fuori dal cammino di riforme che il premier ha intenzione di portare a termine nell’attivita’ di governo.
Per riorganizzare il partito, il tassello, da cui tutto discende, e’ la presidenza del Pd. Girano i nomi della lettiana Paola De Micheli e del ministro Roberta Pinotti che pero’, secondo quanto si apprende, non sarebbero in pole per quello che e’ un ruolo di garanzia dentro il partito.
I renziani, a quanto si apprende, avrebbero offerto il posto al capogruppo Roberto Speranza, che pero’ preferirebbe restare "operativo" alla Camera. Se invece accettasse l’incarico, e’ possibile che la casella di capogruppo vada ad un fedelissimo del leader Pd anche se a Renzi piu’ che l’appartenenza interessa che il gruppo funzioni spedito. Evitando errori accaduti anche nelle scorse settimane e assecondando il suo timing di riforme. Al di la’ del tema capogruppo, e’ un fatto che Antonello Giacomelli e Silvia Velo hanno lasciato la vicepresidenza del gruppo, o se ne occupano solo part time, dopo essere entrati al governo come sottosegretari e si ragiona sui sostituti. Un rebus che si intreccia con la nuova segreteria, dove al momento sembra chiaro solo che si puntera’ su giovani con esperienza sul territorio – gira ad esempio il nome della "giovane turca" Valentina Paris – e molta voglia di dedicarsi al partito in zone, come ad esempio il sud e le isole, dove, nonostante il buon risultato elettorale, c’e’ molto da fare.
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