C’è un documento che ci identifica e definisce in tutto il mondo: il passaporto. Il passaporto è necessario per poter entrare in altri paesi e fornisce alle autorità i dettagli importanti della nostra vita. Per chi commette reati seri è il primo documento che viene confiscato per impedire fughe e garantisce che tutti i viaggiatori siano in regola con la legge.
Questa almeno è la teoria, ma sappiamo tutti che chi viaggia non sempre porta documenti autentici e che certamente non assicura che i criminali non viaggino. Potremmo andare avanti a lungo ad elencare i benefici legali del passaporto, ma c’è un aspetto importante relativo a questo documento.
Per molti è il documento che ci aiuta a definire cosa siamo agli occhi del mondo. Il passaporto dimostra che apparteniamo a un determinato paese e dunque quando entriamo in un paese nuovo il trattamento riservato a ognuno di noi potrebbe cambiare secondo i rapporti tra i paesi. All’epoca della guerra fredda per chi entrava nei paesi dell’Europa sovietica con il passaporto americano voleva dire essere trattato con sospetto dalle autorità e a volte essere seguito, controllato nei movimenti e contatti con locali e rischiare di essere giudicati come possibili spie.
Nel caso dei profughi il passaporto potrebbe portare a conseguenze importanti, non per chi fugge, ma per chi rimane a casa. Per questo motivo molti profughi che fuggono da dittature li distruggono, non per ingannare le autorità di accoglienza, ma per timore di conseguenze serie per i parenti rimasti in patria se si sapesse della fuga all’estero di un oppositore al regime. Poi, in molti casi, i perseguitati partono senza chiedere passaporto per non dare indizi alle autorità della possibilità di fuga. Per cui non dobbiamo automaticamente pensare che l’arrivo di profughi senza passaporto sia necessariamente motivo per sospettare che il profugo sia un possibile criminale a causa dell’assenza di questo documento.
Questo dei profughi è un tema delicato e complicato e non centrale in questo articolo, ma in ogni caso bisogna tenere presente dettagli come questi quando consideriamo la crisi dei profughi che sta creando scompiglio in tutto il mondo.
Ma per gli immigrati regolari il passaporto è il documento che segue i passaggi della vita. Naturalmente il passaporto è il mezzo per poter fare domanda di poter partire e di entrare nel paese che aveva accettato la domanda di immigrazione. In seguito il passaporto, con il visto di residenza ben visibile sarà necessario per poter trovare lavoro, aprire conti in banca e per iniziare i primi passi nella nuova vita .
In alcuni paesi la compravendita di un terreno o di una casa, come anche certi lavori delicati come il servizio militare e il lavoro in certi ministeri, sono esclusi agli stranieri: di conseguenza l’immigrato compie il passo di dover cambiare nazionalità, un passo non sempre facile. La domanda di cittadinanza inevitabilmente comporta la rinuncia alla cittadinanza precedente e per molti questa è una scelta dolorosa. Nel caso di paesi del Commonwealth britannico ci sono emigrati italiani che rifiutano la nuova cittadinanza perché comporterebbe un giuramento al re o alla regina.
Però, benché il cambio di cittadinanza cambi il nostro stato legale, noi, come persone cambiamo da un momento all’altro? La risposta è no, di base rimaniamo uguali e il cambio di cittadinanza e dunque anche di passaporto diventa il riconoscimento legale e solido dell’ enorme cambio dato alla vita di ciascuno di noi.
Non vuol dire che l’emigrato ami meno il paese dove è nato e cresciuto. Vuol dire che ha compiuto i passi necessari per diventare un cittadino del paese di residenza e quindi poter partecipare in modo attivo alla vita del nuovo paese, come votare e partecipare alla vita del paese senza barriere. I discendenti degli emigrati poi diventano un caso particolare.
Per i figli nati all’estero prima del cambio di cittadinanza del genitore esiste la possibilità di avere la doppia cittadinanza. Per esempio, la legge italiana dà la cittadinanza a chi nasce da almeno uno dei genitori cittadino italiano al momento della nascita e in molti paesi, come l’Australia e gli Stati Uniti la cittadinanza viene dall’essere nato in quei paesi. Per questo motivo alcuni hanno la possibilità di avere persino tre cittadinanze/passaporti a seconda di dove siano nati i genitori.
Come figlio di immigrati italiani in Australia ho colto questa possibilità per dimostrare le mie origini e poter dimostrare in modo inequivocabile di essere italo-australiano. Ovviamente per molti di noi oriundi diventa anche il mezzo per poter trasferirci in Europa per provare altre esperienze e altri stili di vita come fanno migliaia di noi ogni anno e confesso che faccio parte di questo gruppo.
Però, per quanto siano importanti questi documenti nella nostra vita, la nostra identità non si basa semplicemente su di loro. Ognuno di noi è definito dalla propria vita, dai genitori, dal tipo di educazione ricevuta e dalle sue azioni. Non tutti i figli di immigrati hanno la doppia cittadinanza e può capitare che ci siano famiglie con figli nati prima e dopo il cambio di cittadinanza dei genitori e dunque con o senza la doppia cittadinanza. In questi casi l’assenza di una seconda cittadinanza non vuol dire che non siano italo-australiani, italo-americani e così via.
Gli emigrati e i loro figli in effetti sono figli di due paesi. In casa vivono con la lingua e le tradizioni del paese d’origine e fuori le pareti di casa vivono in base alle leggi e alle tradizioni del paese di residenza. Poi, secondo i pregiudizi verso ogni gruppo e la Storia di ciascun paese di residenza questa doppia vita non è sempre facile. Un fatto che vediamo ora sempre più spesso in Italia con l’integrazione non sempre facile dei nuovi immigrati.
La conservazione di tradizioni italiane da parte dei discendenti di emigrati italiani dimostra chiaramente questa doppia vita. Infatti, le esperienze americane e ora anche in altri paesi dimostrano che i figli di terza e quarta generazione vogliono sapere sempre di più delle loro origini. In questi casi i passaporti non hanno poi un ruolo legale importante. In tutti i casi, con o senza passaporto, questi sono discendenti di italiani e dunque parte della storia dell’Italia stessa. La presenza a Roma di parlamentari eletti all’estero ne è il riconoscimento ufficiale di questo fenomeno.
Perciò, non pensiamo che l’emigrazione sia più un viaggio a senso unico. L’emigrazione è un viaggio che dura la vita dell’emigrato e che continua nel corso delle generazioni che lo seguono. Per l’Italia questo è parte del nostro patrimonio e dobbiamo compiere i passi necessari per fare capire a tutti questa realtà del nostro paese.
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