La Corte d’Appello di Bologna ha confermato le condanne inflitte in primo grado a Parma all’ex presidente di Banca di Roma-Capitalia Cesare Geronzi e all’allora dg di Capitalia Matteo Arpe per la vicenda della vendita delle acque minerali Ciappazzi, filone nato dall’inchiesta sul crac Parmalat del 2003. Il 29 novembre 2011 Geronzi era stato condannato in primo grado a cinque anni per bancarotta e usura. Per Arpe c’era stata una condanna per bancarotta a tre anni e sette mesi. Oggi a Bologna sono state confermate, come chiesto dal procuratore generale Umberto Palma, anche le condanne per gli altri sei imputati.
Al centro del processo c’era l’affare Ciappazzi, combinato, secondo l’accusa, tra il gruppo Ciarrapico e la Parmalat di Calisto Tanzi su pressione illecita di Cesare Geronzi che, all’epoca dei fatti (era il 2002), era il numero uno del gruppo bancario romano. Tanzi avrebbe acquistato la societa’ di acque minerali (in uno stato di completo sfacelo), ad un prezzo gonfiato per ottenere poi dal gruppo Capitalia un finanziamento da 50 milioni di euro che sarebbe servito a tenere a galla il settore turismo della Parmalat. La banca, dal canto suo, avrebbe consentito al gruppo Ciarrapico di incamerare i soldi della vendita e di conseguenza far rientrare in Banca di Roma (poi Capitalia) i fondi di un finanziamento concesso anni prima.
Lo scorso 6 maggio nell’aula Bachelet della corte d’Appello di Bologna c’era stata l’accorata autodifesa dello stesso Geronzi. Calisto Tanzi e Fausto Tonna, aveva spiegato ai giudici nelle sue dichiarazioni spontanee, hanno reso deposizioni ‘in modo del tutto inveritiero’ e quanto hanno dichiarato ‘appartiene al novero delle falsita”. ‘Mi sono accorto che per le dichiarazioni di questi signori io sono un ‘regista occulto’. Uno che – aveva aggiunto – al mattino, quando entra in banca, apre il cancello, butta la chiave e da quel momento tutto fa e tutto dispone. E tutti eseguono quel che dice. Questo non puo’ succedere, neanche nella piu’ piccola cassa rurale’ aveva detto. La Banca di Roma, aveva concluso, considerava Parmalat solvibile e non avrebbe avuto alcun senso, se avesse saputo del fallimento della Parmalat, spostare il credito da un debitore insolvente (Ciarrapico) ad un altro debitore insolvente (Tanzi).
Una versione che non ha evidentemente convinto la corte presieduta da Michele Massari. Gli avvocati Ennio Amodio e Franco Coppi, difensori di Geronzi, parlano di una ‘sentenza fotocopia’ di quella di primo grado: ‘evidentemente – affermano – anche ai giudici di Bologna sono bastate le parole di Tanzi, dettate dal proposito di scaricare su altri le colpe di una dissennata gestione societaria. L’onda lunga del default di Parmalat finisce cosi’ per colpire ingiustamente anche chi, come Cesare Geronzi, non e’ mai intervenuto nella operazione Ciappazzi, del resto voluta dall’imprenditore di Collecchio per lucrare ingenti vantaggi finanziari. Sara’ la Cassazione – aggiungono – a far intendere come le responsabilita’ penali non si costruiscono su congetture e presunzioni’.
Gli avvocati Sergio Spagnolo e Mauro Carelli, legali di Arpe, si dicono ‘sorpresi’ dalla sentenza, ‘in quanto e’ stata confermata una pronuncia di condanna, nonostante sia stata dimostrata non soltanto la totale assenza di prove a carico del dott. Arpe, ma la presenza di numerosissime prove a discarico. Siamo certi, pertanto, che la Corte di Cassazione non potra’ che accogliere il ricorso che presenteremo all’esito del deposito delle motivazioni da parte della Corte’. Le motivazioni sono attese entro 90 giorni.
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