Oggi sul quotidiano Libero Gian Luigi Paragone firma un articolo intitolato “Poco Onorevoli, togliamoci il peso degli eletti all’estero”. Il giornalista propone l’abolizione del voto estero.
Aldo Di Biagio, senatore eletto all’estero, sceglie Italiachiamaitalia.it per replicare all’articolo di Paragone. Ecco qui di seguito l’intervento del senatore Di Biagio, eletto nella ripartizione estera Europa con oltre 40mila voti di preferenza.
LA REPLICA
Gentile Paragone,
pur essendo dell’opinione che ogni spunto di riflessione sulle modalità attuative della legge Tremaglia è sempre ben accetto (il confronto è prezioso in democrazia in ogni caso), soprattutto in un momento come quello attuale in cui l’argomento legge elettorale riempie giornali e monopolizza la politica, faccio però seriamente fatica a comprendere il motivo di quel ventaglio di preconcetti e posizioni negativamente aprioristiche che caratterizza il suo articolo, senza entrare – purtroppo – nel merito di una legge che ha avuto e tutt’ora ha una sua ratio, in riferimento alla quale si può non essere d’accordo, ma additarla come “colossale fesseria” risulta un tantinello esagerato, se non addirittura offensivo: non tanto nei confronti del sottoscritto (essere in politica oggi significa farci il callo) o degli altri 17 colleghi, ma nei confronti di una platea di circa 4 milioni di italiani che lei sembra paradossalmente omettere.
Possiamo ragionare fino a domani circa l’efficacia, l’opportunità e la giustezza di questa legge, assolutamente migliorabile (ed io stesso non ho mai mancato di proporre rettifiche), ma buttare il bambino con l’acqua sporca pecca di ingiustificata superficialità in un momento storico in cui la faglia tra cittadini e istituzioni si sta acuendo e proprio per questo la tutela dei diritti di chi è emigrato, in stagioni storiche diverse, non può diventare il capro espiatorio dei “mali d’Italia” come sembra voler fare lei, ignorando – forse strumentalmente – che i problemi sono evidentemente altrove.
L’equazione “eletti all’estero e mercato delle fiducie” o peggio ancora “eletti all’estero e strani movimenti” appare – mi perdoni – come la celebrazione del qualunquismo, poiché impugnare fatti – sebbene deprecabili – che hanno condizionato uno o più eletti all’estero in passato per chiedere l’abrogazione della legge, sarebbe un po’ – mutatis mutandis – come depennare metà Costituzione perché la democrazia rappresentativa ha mostrato qualche falla in ragione, magari, di qualche reato ad opera di coloro che ne sono l’emblema.
Ma, mi chiedo, in un momento come questo non sarebbe il caso di entrare nel merito delle cose piuttosto che soffermarsi sui luoghi comuni, aizzando i malumori dei cittadini in questo modo depistati circa le reali cause dei loro problemi?
Capisco sia facile e comodo accostare la legge Tremaglia e gli eletti all’estero a quanto di più becero viene riconosciuto alla politica (poltrone, vitalizi, mercato delle fiducie tanto per citarla) proprio perché sono “la cenerentola della rappresentanza parlamentare”, poiché indipendenti rispetto alle dinamiche elettorali nazionali e perché loro – a differenza dei parlamentari eletti in Italia – la faccia ed il nome ce li mettono. Quindi un comparto di cui, ciclicamente, si può chiedere l’immolazione. Ecco lei conferma questo assunto di base, a cui – anche a questo – si è abituati.
Ed i cittadini che rappresento dove li mettiamo? Elemento scomodo immagino, anche perché ammetterne l’esistenza con correlato onere in termini di rispetto dei diritti di rappresentanza democratica, andrebbe a confutare la sua riflessione e quel “non provoca alcun vulnus democratico” che ha sbandierato a fine intervento.
Certo l’impegno del Paese “dovrebbe essere quello di evitare che tanta gente emigri” – la cito di nuovo – ma dubito che in prospettiva di questo impegno – al di là del come questo si debba attuare – ci si debba dimenticare di quelli che – volente o nolente – sono già emigrati e si debbano considerare i loro diritti di partecipazione democratica come un atto di ipocrisia. Faccio davvero fatica a capire il nesso logico tra i due argomenti, ma credo che ci sia buona fede e volontà di approfondimento nella sua riflessione.
Tra l’altro tocca un argomento a me caro, in merito al quale condivido le sue remore, il voto dei temporaneamente domiciliati all’estero, su cui ho avviato uno studio, dati alla mano, che ha condotto alla presentazione di un disegno di legge che purtroppo giace inascoltato dal 2014.
Posso anche capire che risulta facile utilizzare il sempre verde argomento degli eletti all’estero che non brillano per presenza ed efficienza, ma credo che converrà con me nel riconoscere questo dato – che riguarda solo alcuni – come perfettamente armonico rispetto al disastroso trend di operatività parlamentare nazionale.
Credo che nella riflessione da lei fatta non ci sia stato un pregresso studio di comparazione con altri ordinamenti: guardiamo sempre alle best practice europee e internazionali e quando si tratta di tutelare diritti così rilevanti vogliamo essere da meno? Il diritto di voto dei cittadini residenti all’estero è previsto in tutti gli ordinamenti dei Paesi dalla solida democrazia, e – a meno che non si consideri l’Italia non rientrante tra questi Paesi – appare alquanto contraddittorio depennare questo diritto dopo 16 anni dal nostro ordinamento.
Mi perdoni se le ho risposto in maniera così veemente. Ma credo comprenderà il fatto che dinanzi ad argomenti così delicati, complessi e che afferiscono comunque a diritti fondamentali di migliaia di cittadini, non si può lasciare il dibattito a riflessioni generaliste e prive di doverosi chiarimenti, perchè – anche se si fa fatica a crederlo – in politica non esistono solo poltrone, inciuci, e malaffare, esiste anche impegno, rispetto e passione e lasciar cadere questa certezza vuol dire ammettere che abbiamo già perso: non io o lei, ma il Paese intero.
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