La fama di Paolo Villaggio resterà a lungo apprezzata nella storia dello spettacolo e anche della letteratura. Scrivo di Paolo da buon ultimo (o pessimo tra gli ultimi) per un motivo preciso: il dolore è stato troppo forte – benché fosse una morte annunciata – e avevo paura di esprimermi in modo lacrimoso, patetico. Come a lui sarebbe certo dispiaciuto. È passato qualche giorno, mi permetto ora di aggiungere un paio di riflessioni alle celebrazioni che (giustamente) gli sono state dedicate. La prima è che avrebbe meritato il premio Nobel.
Aggiungo che con Paolo non avevo un assiduo rapporto di incontri, cene, scherzi: ci vedevamo nelle trasmissioni televisive e qualche volta ci incontravamo, anche per caso, in un bel caffè di Roma, Amelie, in piazza Verbano. Come molti hanno scritto, era un uomo profondamente buono, generoso. Gli ero simpatico, mi voleva bene.
Quindici anni fa – quindici! – mi diceva, con evidente sincerità: “Io ormai sto per morire, ma tu sei più giovane, controlla la carotide, le coronarie… E sappi che hanno inventato un aggeggio per respirare bene, la notte!” Lo diceva con trasporto. Se n’è andato, ma ha vissuto ancora quindici anni. E io resisto, ma gli amici scompaiono uno dietro l’altro, mi sento un sopravvissuto. (Lamescolanza)
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