‘Era l’istante piu’ felice della mia vita e non me ne rendevo conto’ e’ la frase iniziale di ‘Il museo dell’innocenza’, ultimo romanzo del premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk edito in Italia da Einaudi. Una frase tra realta’ e mondo interiore, tra vita vissuta e fantasia fiabesca, che e’ poi la caratteristica di un po’ tutta la narrativa di questo autore che, il 7 giugno, compie 60 anni e lo fa avendo appena inaugurato un vero e proprio ‘Museo dell’innocenza’ ad Istanbul, allestito in centro, in un appartamento appositamente comprato e da pochi giorni aperto al pubblico.
Forse non e’ un caso che, mentre scriveva questa storia d’amore negli anni Ottanta tra Fusul, commessa in un negozio di borse, e Kemal, giovane imprenditore, la interruppe per scrivere quel grande atto d’amore che e’ il libro dedicato alla sua citta’, ‘Istanbul’. Il museo del romanzo e’ infatti alla fine un luogo in cui si possono ripercorrere un po’ le vicende anche di altri personaggi dei vari romanzi di Pamuk, da ‘Il mio nome e’ rosso’ a ‘Neve’, e, attraverso gli oltre mille oggetti, documenti, piantine, foto che li riguardano, la storia appunto di una Istanbul che non c’e’ piu’. Alla fine del giro lo scrittore sostiene che i visitatori si renderanno conto di aver ripercorso non solo la storia di un amore, ma quella di tutto un mondo in via di sparizione.
Un amore che potremmo dire non proprio ricambiato dai suoi concittadini e connazionali, se lo scrittore deve girare con la scorta per le minacce che ancora gli arrivano per aver denunciato il genocidio degli Armeni da parte dei turchi, che il potere e la storiografia ufficiale negano, perseguitando anche penalmente chi sostiene il contrario.
Nelle cento vetrine dei tre piani del suo museo sono visibili più o meno tutti gli oggetti descritti nel romanzo (le cui copie, per rinfrescarsi la memoria, sono consultabili in tutte lingue su un bancone) e anche in altri suoi libri, che Pamuk va raccogliendo da 15 anni personalmente, perche’ ‘l’unica cosa che fa sopportare il grande dolore di una felicita’ passata senza essersi accorti che si stava vivendo un momento eccezionale e’ poter avere un oggetto che ricordi quel momento, che ce lo sappia rievocare’. Non a caso ha scritto che i musei debbono diventare piu’ piccoli, per raccogliere la sfida di illustrare le storie dei singoli, per riuscire a raccontarle su scala umana e rivelare una civilta’ non solo secondo grandi schemi storico globali.
La narrativa di Pamuk, che come abbiamo detto non usa Istanbul e l’Impero Ottomano solo come sfondo ma ne fa parte viva, ‘personaggi’ delle sue storie, ha in genere un’ottica storica, dall’ambientazione nel passato, come il XVII secolo de ‘Il castello bianco’ alle vicessitudini di una famiglia di generazione in generazione, come ‘Il signor Cevdet e i suoi figli’, sempre come per una ricerca delle radici, una indagine sul tema dell’identita’, che non e’ solo nel sempre centrale conflitto tra la cultura islamica e quella occidentale dell’Europa, ma coinvolge la psicologia, il mondo intimo dei suoi personaggi, le cui storie, non a caso, sono spesso raccontate da punti di vista diversi, anche senza arrivare alle cinque prospettive de ‘La casa del silenzio’ ma magari solo giocando sul tema del doppio, come ne ‘Il libro nero’.
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