Grazie all’oro olimpico del quartetto azzurro di ciclismo su pista si sono accesi i riflettori anche sull’industria italiana della bicicletta, settore di eccellenza, dai grandi potenziali di sviluppo, che ha tuttavia da tempo superato l’idea tradizionale di Made in Italy.
Il marchio Pinarello – scrive La Tribuna di Treviso nell’edizione del weekend – campeggiava nei bolidi dei ciclisti azzurri, dopo aver accompagnato sul gradino più alto del podio anche Richard Carapaz, vincitore della prova su strada. Assieme a Bianchi e Colnago, Pinarello è uno dei marchi di punta delle bici italiane. Eppure, guardando alla proprietà delle imprese, nessuno di questi marchi è oggi davvero italiano.
In base al tradizionale criterio di “Made in Italy” poche biciclette di questi prestigiosi marchi italiani potrebbero essere ritenute italiane. Ma è davvero così?
Il vero fattore di competitività della manifattura italiana – si legge ancora – non può essere solo nel presidio delle operazioni materiali, bensì nell’ideazione di nuovi modelli, nella cura del design, nella ricerca e nello sviluppo dei prodotti, nella sperimentazione tecnologica, nelle relazioni generative con i fornitori e con gli utilizzatori. Sono queste funzioni immateriali che apportano la quota maggiore di valore economico al prodotto. Le acquisizioni estere di imprese italiane cercano, alla fine, queste competenze distintive, non certo lavoro di routine che può essere delocalizzato o sostituito da macchine.