Luigi Maria Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, intervenuto al convegno Faim al Senato, ha fatto sapere che negli ultimi cinque anni “abbiamo avuto un milione di iscritti AIRE in più, numeri che hanno dato origine a fenomeni che sembravano dimenticati. Oggi le rimesse valgono mezzo punto del Pil, siamo tornati ai dati del 1878”, evidenza Vignali, che poi ha precisato: “Parliamo di centinaia di milioni che arrivano da ogni parte del mondo. Questi flussi vanno accompagnati, non possono essere lasciati a loro stessi. Anche per questo abbiamo rilanciato il tavolo coi patronati”.
Prima di tutto “questi flussi vanno accompagnati nella conoscenza della lingua, nella capacità di usare i sistemi di tutela, previdenza”, poi “bisogna avere un sistema di prevenzione della irregolarità basato sui consolati e la rete istituzionale all’estero”. Perchè “non possiamo tollerare nel 2018 che ci siano italiani irregolari, sfruttabili. Non possiamo tollerare partenze allo sbaraglio” e per gestire il nuovo fenomeno “ci vogliono strutture adeguate”, bisogna avere un sistema di prevenzione della irregolarità basato sui consolati e sulla rete istituzionale all’estero.
Parlando della forte emigrazione in corso, Vignali ha spiegato che ogni italiano che lascia l’Italia “ha rappresentato un investimento e questo investimento va recuperato”, nella convinzione che “la mobilità deve essere circolare, bisogna fare in modo che i nostri cittadini tornino, arricchiti”. Insomma, “non può esserci flusso unidirezionale”.
Per Vignali “sul tema dell’emigrazione si gioca il futuro dell’Italia, perché rischiamo l’impoverimento e rischiamo di buttare gli investimenti fatti nell’istruzione, nella sanita’, in tutti i campi. Non parliamo certo solo di fuga di cervelli, è un fenomeno molto complesso, una nebulosa che contiene tante storie. Stiamo facendo la fortuna di tanti paesi del Nord sulla ricerca”.
Quindi che fare? “Prepararci e attivarci – ha sottolineato Vignali – e poi valorizzare il patrimonio di italianità che le collettività possono portare anche in termini di conoscenza della lingua italiana nel mondo, della cucina italiana e di alte nostre ricchezze”.
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