Il Giappone rompe un tabu’ e fissa l’obiettivo di chiusura dei suoi reattori nucleari nell’arco di circa 30 anni, optando per un forte cambiamento strategico a 18 mesi dal disastro della crisi atomica di Fukushima del 2011.
Le nuove linee energetiche nazionali, approvate oggi dalla riunione voluta dal premier Yoshihiko Noda, hanno recepito ‘una strategia flessibile: una linea di partenza e’ stata tracciata e anche se e’ difficile, non possiamo rimandare i compiti’, ha spiegato Noda sul passaggio verso le fonti rinnovabili, mentre fuori dal suo ufficio erano gia’ pronte le consuete proteste anti-nucleare del venerdi’. ‘Non possiamo non avere presente lo scenario economico’ visti gli investimenti richiesti, ‘anche se deve essere chiaro che il nostro obiettivo e’ l’uscita’.
Sulla via nipponica di addio all’atomo, il ministro per le Politiche nazionali Motohisa Furukawa ha notato ‘che proveremo ad arrivare a zero in uno scenario incerto’ quanto a tecnologie realmente alternative. Tuttavia, ‘pensate – ha detto ai giornalisti – a internet 20 anni fa e a cosa e oggi’.
I problemi hanno una duplice natura, pratica e strategica. Prima di Fukushima, la terza economia al mondo generava il 30% del fabbisogno elettrico dall’atomo e puntava a superare il 50% entro il 2030. Per compensare un taglio corposo e contenere il balzo dei costi con i combustibili fossili, il ministro dell’ Ambiente, Goshi Hosono, aveva ipotizzato l’aumento di 6 volte della capacita’ di generazione da 4 categorie rinnovabili al 2030, investendo miliardi di euro. Sufficienti, a coprire solo il 16-17% totale, secondo alcuni esperti. Il governo attuera’ tutte le misure possibili per portare la produzione nucleare a zero negli anni 2030, seguendo pero’ tre principi: no a nuovi reattori, smantellamento di quelli con piu’ di 40 anni di vita, riavvio delle unita’ che hanno superato i test di sicurezza dell’Authority di settore.
Il secondo aspetto e’ di natura strategica e si collega ai rapporti con gli Usa. Il Giappone e’ l’unico paese senza ordigni atomici ad avere un accordo con Washington (negato alla Corea del Sud) sul ciclo di riprocessamento e arricchimento: controlla tutta la filiera del combustibile usato per fini civili e, in linea di principio, anche per applicazioni militari. E’ un fattore di forte deterrenza, senza contare tutta l’ esperienza tecnologica e scientifica accumulata, per un Paese con vicini imprevedibili (Corea del Nord) e militarmente attivi (Cina). Tokyo ha detto che Rokkasho, la struttura di riprocessamento nella prefettura di Aomori, lavorera’ ancora le barre esauste, ma il ruolo appare inevitabilmente destinato a ridimensionarsi. Il Giappone, terzo paese al mondo per numero di reattori (50 di cui due in funzione) si aggiunge – pur con il lungo percorso a ostacoli – alla lista di Stati che hanno optato per scelte drastiche, come la Germania (stop alle 17 unita’ entro il 2022) e la Svizzera, che vuole chiudere i 5 reattori entro il 2034. La percezione popolare, dopo la peggiore crisi da Cernobyl, e’ cambiata verso il nucleare, con il movimento anti-atomo in netta crescita a livello nazionale. E le decine di migliaia di manifestanti fuori ai palazzi del potere di Tokyo lo hanno confermato anche oggi.
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