Caro direttore,
mi spiace essere stato malinteso circa la polemica questione della cittadinanza, mentre non ho avuto mai intenzione di misconoscere le origini di sangue di tanti discendenti sparsi nel mondo.
Ci sono indiscutibilmente lacci affettivi e sentimentali che vivono per sempre e che ho spesso ammirato. Ho solo voluto suggerire, cosi come fanno tecnicamente Portogallo e Germania, la limitazione della cittadinanza diretta a due generazioni, perché le discendenze di lungo temine hanno mostrato un notevole allontanamento e scollamento dalle attuali congiunture.
Ciò non significa tagliare fuori dal godimento della cittadinanza le altre generazioni che devono essere recuperate nel merito oltre che nella forma: quello che conta è sì il godimento personale della cittadinanza, anche se spesso non ben visto da alcuni paesi di nascita, ma soprattutto il contributo linguistico, culturale ed economico dei discendenti alla realtà italiana.
Quando vengono meno tali partecipazioni o, peggio ancora, quando, in casi limite, si fa uso del documento per fughe all’estero al fine di eludere condanne per attività illecite o per commettere all’estero attività illegali, ci si trova di fronte ad un semplice documento di viaggio casualmente o malamente usato. Documento che serve nella maggioranza dei casi a godere di uno status europeo molto ricercato per praticità e accettazione internazionale, anche in alternativa ai passaporti dei rispettivi paesi di nascita.
Si creano inoltre conflitti di uso tra il passaporto locale in uscita e il passaporto italiano al rientro, come rilevato dalle polizie di frontiera.
Essere cittadini italiani significa parlare, scrivere e leggere l’italiano e conoscere il passato e il presente dell’Italia, soprattutto come dovere morale verso gli ancestrali che tanti sacrifici fecero per trovare lavoro, farsi nuova vita ed avere una nuova patria.
Ben vengano tutti i discendenti nella grande famiglia italiana, ma con giusta e doverosa inserzione culturale; del resto se si appartiene ad una nuova nazione sembra difficile appartenere al contempo ad un’altra, creando a volte divergenze mentali, di costume e anche politiche, comprese quelle calcistiche.
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L’Italia finora ha fallito nel trattamento dei suoi connazionali nati e residenti all’estero come pure per i suoi discendenti. Si spera dopo le ultime elezioni che ci sia un nuovo corso, ma seguendo i criteri della integrazione linguistica, culturale ed economica che finora è stata assente per le grandi masse.
Quanto allo jus soli chiarisco che potrebbe essere limitato agli 800mila nati in Italia figli di immigranti che al 18º anno di età abbiano frequentato le scuole e parlino bene l’italiano, e non sicuramente ai clandestini, ai criminali e ai terroristi che devono essere espulsi dal Paese.
L’ultima legislatura, anche col sostegno dell’emerito Presidente Napolitano, doveva esaminare tale questione e credo la prossima lo debba fare.
Non si tratta di ideologie di destra o sinistra, si tratta di concedere un giusto diritto a chi è già inserito nella realtà italiana e con un peso demografico ben ridotto. Dunque uno jus soli limitato alla fattispecie su esposta, mentre deve sussistere lo jus sanguinis ma favorendo sia con iniziativa privata sia con quella pubblica, un inserimento finora non registrato. Altrimenti i passaporti tanto voluti servono semplicemente per varcare i confini e restare poi nei cassetti.
Mi auguro infine che dopo una seria riforma della cittadinanza si possa ottenere una urgente riforma della legge elettorale degna degli italiani in Italia e dei più numerosi italiani residenti all’estero.