Uno del Sud, siculo. Messinese, italiano del G7. I Sette Grandi, intesi come italiani che hanno conquistato il Tour. Il Gattopardo in bicicletta. Le roi, il re. Vincenzo il magnifico. Lo squalo d’Italia, denti capaci di lasciare il segno sulla storia del ciclismo. Lo sport “dei culi in aria”, di Giuseppe Pacileo, giornalista arguto e colto, un maestro. Cresciuto a granite con panna e calamari fritti a Messina, pedala ora nella leggenda: a voi, signori, Vincenzo Nibali, uno dei rari superman: primo nelle tre grandi corse a tappe. Tour de France, Giro d’Italia, Giro di Spagna, e la Vuelta che lo costrinse ad arrampicarsi fin lassù, in cima alla Bola do mundo.
Monsiuer Nibalì, alla francese, il signore in giallo. Quattro vittorie di tappa, una costante schiacciante dimostrazione di superiorità, la semplicità e l’umiltà al potere: il secondo in classifica, il francese Peraud, disperso a sette minuti e cinquantadue secondi, quasi a dieci il murciano Valverde, la Spagna ha pedalato con i suoi affanni. Distacchi d’altri tempi.
I francesi fanno fatica a mandarla giù, non la digeriscono. L’oro d’Italia gli resta sullo stomaco e per questo berciano, come si dice dalle parti dove Nibali è cresciuto. Mastromarco, frazione di Lamporecchio, la patria dei brigidini, in provincia di Pistoia. Un puntino sulla carta geografica d’Italia. Berciano, les amis, spargendo sospetti, pedalando tra malignità e greve ironia. Ma questo Nibali è pulito? Siete disposti a mettere la mano sul fuoco voi italiani? I francesi ritengono sospette alcune circostanze e ne dilatano il significato.
Nibali indossa in corsa l’azzurro dell’Astana kazaka, invischiata in passato in questioni di doping. Quella relativa a Contador la più eclatante. Il suo direttore è Vinokourov, fermato anni fa al Tour per trasfusioni di sangue non legali e a lungo nel mirino impietoso delle autorità antidoping. I francesi completano l’operazione veleno chiamando in causa Giuseppe Martinelli detto Martino, il mentore di Nibalì. Al fianco di Pantani c’era o non c’era lui quando il Pirata è rimasto impigliato nelle maglie del doping? Certo che c’era, ma non conta un fico secco.
Tranquillizziamoli, les amis de France. Nibali è pulito, mai ricorso al doping in vita sua. Al Tour si è sottoposto a ventuno controlli, nessun problema, può proseguire a testa alta, dominatore in Francia e mai superbo. Il trionfo di un umano.
“Le frasi del mio papà corrono con me, sono in bicicletta con me, sempre”. Papà Salvatore, impiegato comunale, la prima bicicletta l’ha regalata al figliolo quando Vincenzo aveva un anno. Una bici con le rotelle. “I suoi insegnamenti sono pietre. Se hai le qualità giuste e fai sacrifici, se hai amore per la bicicletta e voglia di fare il ciclista, arrivi dove vuoi. Le parole di mio padre fanno andare le mie pedivelle: se t’invischi nel doping, a Messina non torni, questa non sarà mai più la tua casa”.
Un’affettuosa minaccia. L’impostazione e l’imposizione di uno stile di vita. L’insegnamento e l’indicazione, vai, corri, la strada è questa, soltanto una. Le scorciatoie non servono. Vincenzo le ha evitate, ignorandole. Umile, positivo, serio, di famiglia solida, non si è mai prestato all’intruglio, a quei micidiali cocktail, all’effimero che fa vincere gli incoscienti e rende la vita dell’atleta anormale, abnorme. Ma i francesi non si rassegnano, e picchiano, ironizzano, fanno gli stupidotti. Il motivo c’è: da una eternità la Francia non è prima al Tour, alla sua corsa.
Nibali è un vincitore pulito, fino a prova contraria. È cresciuto per gradi, lentamente. Il suo massimo l’ha raggiunto quasi trentenne, ascoltando i consigli di un preparatore pure lui pulito, serio, competente, studioso dell’uomo ciclista, del motore e della macchina che vanno in bicicletta, fino ad apparire oggi nei panni dello scienziato. Vincenzo ha preteso di portarselo dietro, Paolo Slongo, di averlo con sé all’Astana kazaka. Mi sta bene tutto, le condizioni, i soldi, la durata del contratto, ma se non c’è lui non vengo.
Paolo Slongo è distante anni luce dal dottor Ferrari, plurisqualificato mentore di Armstrong, e dagli stregoni come Fuentes e Del Moral. Il professore veneto è un’altra cosa, una cosa diversa. Niente frigo al seguito con le sacche di sangue per le trasfusioni, nessuna farmacia e niente siringhe nella borsa di lavoro. La bici è sua sorella, la sua fidanzata, sua moglie. E per lei la prima fidanzata l’ha lasciato, tempo fa. “Non voleva stare troppo tempo sola. Noi ciclisti siamo invece sempre in giro per il mondo”. Allora ne ha sofferto, poi ha incontrato Rachele. Incontro e fidanzamento, ha fatto tutto Agnoli, il corridore ciociaro suo compagno di squadra alla Cannondale e all’Astana. Si sono piaciuti a Fiuggi, e Vincenzo l’ha sposata. Felici e contenti entrambi, ieri agli Champs Elysee c’era anche lei, la piccoletta. Un delicato batuffolo.
Potete impegnarvi tranquillamente su Nibali, il Tour l’ha vinto con le sue gambe. Ma sì, qualche integratore lo prende anche lui, ma è solo roba lecita, mai dopante. Lo dicono i dati, relativi ai watt e a quant’altro. Il suo doping ha precise connotazioni: forza mentale, lucidità, maturità, e un motore di alta qualità. Scalatore ora non più in debito di forza sulle rampe estreme delle salite, discesista spericolato, uno dei migliori al mondo, e passista solido capace di andare bene anche a cronometro.
A nove anni la prima bici vera. Papà Salvatore lo portava a passeggio con lui, a scuola era diventato insopportabile, bisticciava con tutti. La prima gara a Sant’Antonio, dalle parti di Barcellona Pozzo di Gotto, secondo al traguardo. Vincenzo non passa inosservato. Un talent scout di Paternò, tale Uccellone, lo nota e all’istante prevede un grande avvenire per il ragazzo. Padre e figlio si spostavano in auto e in auto mangiavano e riposavano. Problemi di soldi, bisognava risparmiare. I parenti residenti a Fremantle, Australia, dichiarano la loro disponibilità: possono dare un aiuto, una bella mano, in caso di bisogno.
Il Sud è piccolo, parlando di ciclismo. La Sicilia, poi. Espresse Giovannino Corrieri, fedele famoso gregario di Bartali, poi poco altro. Vincenzo indirizza la bici verso la Toscana, emigra e si stabilisce a Mastromarco. La famiglia Franceschi diventa la sua seconda famiglia, ma davvero. I Franceschi non si perdono una corsa di Vincenzo, sempre presenti anche all’estero. Scoprono di avere un altro figlio, e lui un’altra mamma e un altro papà. “Abbiamo pianto come vitelli, dalla gioia, quando ha conquistato la maglia rosa e il Giro d’Italia”. Vincenzo in rosa e il parroco don Francesco Pieracchi fece suonare le campane della chiesa. Al ritorno dalla vittoria alla Vuelta di Spagna, Mastromarco stese in suo onore un tappeto rosso lungo tre chilometri. In questa solenne storica occasione il paese promette di tingersi di giallo. E le campane della chiesa, il ricevimento in piazza, gli abbracci, la pazza gioia, la festa.
Ringrazierà, Vincenzo, alla sua maniera, semplice e umile, il sorriso ora luminoso, poche parole. L’umano Vincenzo Nibali. “Grazie a tutti quelli che mi sono stati vicino e mi hanno sostenuto quando non ero nessuno”. Il tempo in cui era ghiotto di pasta al forno, di cannoli, del cinghiale, dei fiori di zucca, dei carciofi fritti, del caffè con panna. E soprattutto di Nutella: non il massimo per un ciclista che sogna di vincere il Tour de France.
Eliminati i piaceri della tavola e le tentazioni, si è alleggerito. Vincenzo pesa meno, ora. Ha perso qualche chilo e il suo Tour è stato un volo. Sui Vosgi, sulle Alpi, sui Pirenei. Un volo pulito e alcuni sogni ancora da realizzare. La maglia gialla da portare in dono a Tonina, la mamma di Pantani, e le classiche da vincere. Sanremo, Liegi, Roubaix, Giro di Lombardia. E la doppietta al Tour, con buona pace di Contador e Fromme, finiti ruzzoloni, gambe all’aria, in Francia. Vincenzo se li era messi alle spalle a Sheffield e sul pavè di Arenberg. La favola continua.
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