E’ ispirata ai grandi kolossal cinematografici di inizio Novecento la messa in scena di Ciro in Babilonia (realizzata in collaborazione con il Caramoor International Music Festival) che ha inaugurato la XXXIIIa edizione del Rossini Opera Festival (10-23 agosto 2012), la rassegna lirica internazionale dedicata al compositore pesarese ed allo studio del patrimonio musicale legato al suo nome.
Prima opera seria del ventenne Compositore, Ciro fu rappresentata per la prima volta al Teatro comunale di Ferrara nel marzo 1812. Rossini – che aveva accettato l’incarico per il nobile motivo che l’onorario era consistente – la definì uno dei miei fiaschi e preannunciò all’amatissima madre l’esito della rappresentazione disegnando un fiasco sulla busta della lettera tramite cui le inviò gran parte del denaro guadagnato. E’ un giudizio severo: Ciro ebbe una buona accoglienza, testimoniata da decine di riprese negli anni successivi. Lo stesso Stendhal, uno dei più accreditati biografi rossiniani (che il Maestro negò sempre di aver incontrato) la definì piena di grazia.
Il direttore americano Will Crutchfield- sul podio dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna- ha commentato alla stampa l’eccezionale precocità del Compositore: Nella partitura ci sono momenti di una bellezza incredibile: si tratta di un autentico capolavoro, quasi a livello di Guglielmo Tell. Non conosco altri compositori della sua età, in possesso di una visione così lucida ed innovatrice. Nemmeno Mozart e Schubert lo furono. A vent’anni Rossini aveva già in testa tutto, è incredibile!
Unitamente ad un cast all’altezza dell’impervia vocalità delle principali arie (il contralto Ewa Podles nel ruolo del titolo; il soprano australiano Jessica Pratt nei panni di Amira, sua moglie ed il tenore Michael Spyres in quelli di Baldassare, re degli Assiri in Babilonia), il pubblico in sala è stato letteralmente conquistato dalla regia e dall’allestimento scenico di David Livermore che -in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino e la Cineteca Nazionale- si è ispirato con una punta di ironia ad un kolossal in bianco e nero dei primi anni del Novecento, facendo muovere e recitare i cantanti con la gestualità tipica di quel genere. Come dire, il cinema dentro l’opera: durante la sinfonia iniziale il palco si riempie di gente, abbigliata nello stile anni Venti, pronta ad assistere al film muto Ciro in Babilonia, con tanto di didascalie sceniche proiettate assieme a spezzoni di film muti – quali Cabiria di Giovanni Pastrone (1914) e Intolerance di David Griffith (1916) – ed elementi scenografici tridimensionali.
Alle atmosfere cinematografiche sono ispirate le scene di Nicolas Bovey ed i costumi, spettacolari ed allo stesso tempo raffinatissimi, rigorosamente in bianco e nero, realizzati da Gianluca Falaschi.
E’ il caso di ricordare che nell’aneddotica rossiniana uno spazio particolare è occupato dal Ciro per l’aria Chi disprezza gli infelici, composta utilizzando un’unica nota (il si bemolle centrale) per il personaggio di Argene (la confidente di Amira). Le ragioni di questa bizzarria sono raccontate dallo stesso Rossini , il quale spiegò come la prima interprete di questa parte, Anna Savinelli, ad una spaventevole bruttezza, univa una voce indecente. Dopo un accurato esame mi accorsi che il suo registro vocale possedeva almeno una nota felice, il si bemolle centrale, e allora scrissi un’aria in cui ella non doveva emettere che quella nota; tutto il resto era affidato all’orchestra. Il pezzo piacque e fu applaudito, e la mia cantante unitonica fu felicissima del suo trionfo.
Seconda opera in cartellone Matilde di Shabran, melodramma giocoso in due atti, rappresentato all’Adriatica Arena che ospita ogni anno uno spettacolo del Rof, trasformandosi in Teatro Olympe Pélissier (in onore della seconda moglie del Musicista).
L’opera fu composta in fretta e Rossini affidò ad un ignoto assistente la stesura dei recitativi secchi. Come aveva già fatto in passato, guadagnò tempo riscaldando gli avanzi, come era solito dire e frugando nei vecchi spartiti, inserì in Matilde alcuni brani tratti da Riccardo e Zoraide e da La donna del lago, mentre per la sinfonia utilizzò quella di Eduardo e Cristina (in precedenza aveva copiato l’ouverture de La cambiale di matrimonio nell’Adelaide di Borgogna, quella de La gazzetta ne La Cenerentola, quella di Aureliano in Palmira nell’Elisabetta regina d’Inghilterra e nel Barbiere).
Molti anni dopo, così commentò quegli furti: Il tempo ed il denaro che mi si accordava per comporre era sì omeopatico che appena avevo io il tempo di leggere la così detta poesia da musicare. La sola sussistenza dei miei dilettissimi genitori e poveri parenti mi stava a quel tempo a cuore.
La prima rappresentazione di Matilde ebbe luogo il 24 febbraio 1821 al Teatro Apollo di Roma ed il primo violino dell’orchestra, assente per malattia, fu sostituito da Niccolò Paganini, con il quale Gioachino si abbandonò quel Carnevale alle baraonde popolari, vestito da donna e fingendosi cieco, come racconta Massimo d’Azeglio nei Miei ricordi.
Matilde rappresenta una delle riscoperte più fortunate del ROF : quella del 1996 lanciò definitivamente l’astro di Juan Diego Flórez nel mondo della lirica. E’ stata ripresentata nel 2004 con la regia di Mario Martone (che ha confermato quella odierna) sempre con la presenza del tenore peruviano che ha fatto del terribile Corradino uno dei suoi più fortunati cavalli di battaglia.
Quello di Matilde è uno dei ruoli nei quali Rossini inneggia al femminismo in contrapposizione a quello del misogino e rigido Corradino: l’amore trionfa dopo quasi quattro ore di musica “fresca e zampillante di idee” che Michele Mariotti (Oscar per la lirica 2012) ha diretto sapientemente ottenendo dall’Orchestra e dal Coro del Teatro Comunale di Bologna e da tutti i cantanti (tra cui Paolo Bordogna, Olga Peretyatko Nicola Alaimo, Anna Goryachova) risultati emozionanti che hanno portato al termine il pubblico, quasi in delirio, ad un interminabile applauso ritmato tributato a tutta la compagnia.
La terza opera in cartellone è Il signor Bruschino, ossia Il figlio per azzardo. Il libretto- denominato farsa gioiosa in un atto- è di Giuseppe Maria Foppa che aveva già scritto per Rossini L’inganno felice e La scala di seta ed è tratto dalla commedia Le fils par hasard, ou Ruse et folie (1809) di Alissan de Chazet e Maurice Ourry.
Appartenente al gruppo di cinque farse che Rossini scrisse per il Teatro San Moisè di Venezia (oltre alle due sopra citate vi figurano La cambiale di matrimonio e L’occasione fa il ladro), Il signor Bruschino andò in scena per la prima volta il 27 gennaio 1813. La regia della nuova produzione é affidata al Teatro Sotterraneo che ha ambientato la farsa in un ipotetico parco a tema, Rossiniland, dove le opere sono attrazioni ludiche e i personaggi mascotte che divertono i turisti. In questo contesto esplodono in chiave pop e contemporanea le tracce principali del libretto del Foppa: su tutte, la natura profonda della farsa giocosa in cui la menzogna e lo scambio d’identità risultano i principali strumenti di relazione fra i personaggi, attraverso un continuo equivoco fra vero e falso, verità e falsificazione. L’allestimento è il risultato di un sodalizio didattico-professionale della Compagnia con gli studenti della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino che hanno ideato e realizzato le scene ed i costumi dello spettacolo. ROF ed Accademia collaborano da tempo: lo hanno fatto già nel 2006 per Adelaide di Borgogna e nel 2010 per Demetrio e Polibio. Daniele Rustioni (29enne) ha diretto l’Orchestra Sinfonica G.Rossini ed una compagnia di canto composta da Carlo Lepore e Roberto De Candia, oltre a giovani under 30.
Il ROF -che annovera nel programma una lunga serie di concerti, la quarta sessione dell’esecuzione integrale dei Pechées de Vieillesse, la tradizionale rappresentazione del Viaggio e Reims a cura degli allievi dell’Accademia Rossiniana, oltre che mostre e conferenze varie, si è concluso con la rappresentazione del Tancredi in forma di concerto, diretta da Alberto Zedda, direttore artistico del Festival (la sovrintendenza é da sempre affidata a Gianfranco Mariotti che ne è l’ideatore).
Eccellente il cast che annovera tra gli altri, Daniela Barcellona nei panni del titolo, specialista di ruoli lirici en travesti. La videoproiezione in diretta in Piazza del Popolo, nel cuore cittadino, ha permesso a chiunque di assistervi gratuitamente. Il libretto di Gaetano Rossi -tratto dalla tragedia omonima di Voltaire- narra dell’assedio di Siracusa da parte degli Arabi intorno all’anno 1000 e della fortunose avventure guerresche e amorose del bel protagonista, la cui aria di entrata, Di tanti palpiti, divenne popolare con il nome di aria dei risi. Forse non tutti sanno che, per i capricci della prima protagonista, Adelaide Malanotte, Gioachino fu costretto a riscrivere in meno di quattro minuti (tanto era il tempo necessario per cuocere un risotto al dente, piatto obbligatorio all’epoca per aprire il pasto) la sua aria di entrata pochi giorni prima della recita.
La diffusione di Tancredi si deve anche alla straordinaria interpretazione che ne diede la grande cantante Giuditta Pasta. C’è un altro curioso episodio da riferire, per dare la misura di quanto un compositore potesse essere condizionato dalle esigenze degli interpreti: Giuditta Pasta, insoddisfatta del finale di Tancredi, chiese a Rossini una nuova aria. Il Compositore non gliela scrisse, cosicché la Pasta interpolò nel finale un’aria di Giuseppe Nicolini (Voi cimentarla osaste, da Il conte di Lenosse); non paga, la divina Pasta arrivò a chiedere a Rossini di fornire varianti per quest’aria, sebbene non fosse sua. Ed egli, incredibilmente, acconsentì.
Discussione su questo articolo