Le opere in forma di concerto sono diventate ormai un’abitudine, anche se c’e’ sempre chi storce il naso. James Conlon, che si appresta a dirigere in questa forma ‘Cavalleria rusticana’ di Mascagni a Roma per la stagione di Santa Cecilia (all’Auditorium sabato, lunedi’ e mercoledi’), racconta: ‘Ho provato col coro, accompagnandolo al pianoforte, ed e’ stato impressionante: e’ emersa una sottigliezza e un’intensita’ sin dalle prime prove che mi immagino cosa potra’ essere con l’orchestra’.
‘Non si puo’ fare un’omlette senza le uova, cosi’ non si puo’ fare una cavalleria senza una santuzza di prima classe e noi abbiamo l’onore di avere la D’Intino, interprete che amo e che richiedo sempre, per esempio ogni volta che devo fare il Requiem di Verdi, anche se lei spesso e’ troppo impegnata’, sottolinea Conlon, aggiungendo che gli altri interpreti sono Elena Zillo (Lucia), Aleksandrs Antonenko (Turiddu) e Roberto Frontali (Alfio) e Marta Vulpi (Moglie di Alfio).
Il direttore quindi precisa di ‘amere molto le opere in forma di concerto che danno l’occasione al pubblico di sentirle diversamente, completamente concentrati sulla musica, con la possibilita’ di cogliere dettagli, sonorita’, sfumature che normalmente, con l’orchestra in buca e la distrazione dello spettacolo, non arrivano alla platea. Le opere liriche sono ancora vive ed eseguite per la loro intima forza musicale, che contiene gia’ la necessaria drammaticita’, il colore e la forza di quel che raccontano. E questo vale anche per un’opera sanguigna e verista come Cavalleria e l’ho gia’ verificato con i pubblici piu’ diversi in giro per il mondo’.
‘Questo tipo di esecuzione sono una bella prova anche per noi interpreti – aggiunge la D’Intino – che ci troviamo piu’ scoperti senza l’appoggio della scena e del movimento, che inevitabilmente influisce non solo sul colore della voce. E poi penso ai parlati, a frasi celebri come ‘A te la malapasqua!’, che risuoneranno in maniera diversa e cui dovremo dare focosita’ e sangue solo puntando su parole e musica’.
Per Conlon, che a questo progetto con Santa Cecilia penso’ anni fa, quando, dirigendo l’Orchestra italiana a Barcellona, esegui’ come bis l’Intermezzo dell’opera di Mascagni, si tratta di ‘realizzare una Cavalleria eccellente, come merita la qualita’ del suo spartito e con la qualita’ del suono tutto italiano dell’Orchestra dell’Accademia. Non so in Italia, ma ho visto tanti allestimenti in America e in Germania, dove la realizzano come opera di routine, prendendo i cantanti un po’ a caso e con tanto cattivo gusto interpretativo’.
Conlon racconta di avere dei bisnonni italiani, emigrati da Calvello in Basilicata a meta’ Ottocento, e che ha saputo, dal suo certificato di morte, che il bisnonno faceva di mestiere il musicista, ‘poi nella mia famiglia, ora mezzo tedesca, mezzo irlandese, insomma americana, non ci sono stati altri musicisti sino a me, l’unico di cinque fratelli’.
La D’Intino paragona l’operazione fatta da Mascagni, musicista livornese che viveva a Cerignola, cogliendo lo spirito popolare, un certo dna italiano vero e intimo nei personaggi drammatici di Cavalleria, a quel che fece Bizet con Carmen e l’animo della Spagna, dove non era nemmeno mai stato. E Conlon sottolinea la somiglianza dell’inizio delle due opere, che si aprono tutte e due con una scena di folla che subito da’ il sapore, l’atmosfera del luogo e ‘piu’ si riesce a renderne la tranquilla bellezza, il sentimento sereno, piu’ terribile sara’ poi la forza del dramma’.
Il direttore, uno dei piu’ noti del panorama internazionale dopo il suo debutto al Metropolitan nel 1976, e’ direttore della Los Angeles Opera e di vari Festival internazionali, parla infine del dna di ‘Cavalleria rusticana’ (un successo tale che, gia’ solo alla morte di Mascagni, aveva avuto oltre 15 mila esecuzioni): ‘abbiamo la possibilita’ di ricostruirlo grazie a una grande ricchezza di fonti: oltre alla partitura originale, esistono due diverse registrazioni dell’opera diretta dall’autore stesso, poi c’e’ la partitura annotata sin nei piu’ piccoli particolari del suo assistente, il maestro Rossi, e infine, per quel che mi riguarda, il lavoro che ho svolto con uno dei miei maestri, Marzocco, che fu assistente di Toscanini e collaboratore di Mascagni’.
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