I primi esiti dell’inchiesta avviata dalla Procura di Venezia sulle presunte tangenti pagate per gli appalti del Mose, il sistema di dighe mobili per la difesa di Venezia e della laguna dalle acque alte, possono riassumersi così: trentacinque arresti e un centinaio di indagati, con il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni (Pd) finito ai domiciliari e una richiesta di autorizzazione all’arresto per l’attuale presidente della commissione Cultura della Camera di Forza Italia, Giancarlo Galan (per 15 anni governatore del Veneto).
Corruzione, concussione e riciclaggio sono le accuse, ma l’indagine della Guardia di Finanza è partita tre anni fa ed aveva portato già all’arresto lo scorso anno di Piergiorgio Baita, ai vertici della Mantovani, una fra le principali aziende di costruzioni impegnata nella realizzazione del Mose, e del "padre" dell’opera, l’ingegnere Giovanni Mazzacurati.
Gli inquirenti hanno ricostruito i vari “passaggi” del caso in questione: fra le altre cose, sarebbero stati creati fondi neri indirizzati su conti esteri attraverso un giro di fatture false, che sarebbero poi serviti, almeno in parte, per finanziare politici e partiti.
La politica reagisce. Prima di ogni altro il Movimento 5 Stelle, con Beppe Grillo. “Larghe intese in manetta”, titola sul suo blog il leader M5S. Il commento è del vice presidente della Camera, Luigi Di Maio: "Il MoVimento 5 Stelle si occupa del Mose da quando è nato, su quell’opera abbiamo sempre mostrato preoccupazioni in merito ad utilità e meccanismi d’appalti. Come per l’Expo e la Tav. Cos’altro devono fare questi partiti per non meritare più il voto dei cittadini italiani?".
I grillini auspicano che la Camera si esprima quanto prima sull’autorizzazione all’arresto di Galan, e chiedono anche che il ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Maurizio Lupi si rechi "in tempi rapidi" in Parlamento per riferire sull’attuale stato delle commesse degli appalti veneti.
Galan, da parte sua, non rilascia dichiarazioni – “no comment” -, mentre a difendere con forza il primo cittadino di Venezia è il presidente dell’Anci Piero Fassino, che sottolinea come "chiunque conosca Giorgio Orsoni e la sua storia personale e professionale, non può dubitare della sua correttezza e della sua onestà". "Siamo sicuri – aggiunge Fassino – che la magistratura, nel compiere gli accertamenti successivi, giungerà rapidamente a stabilire la verità dei fatti, consentendo così ad Orsoni di ritornare alla sua funzione di sindaco di Venezia".
Dal ministro Lupi arriva un appello a "non rallentare o compromettere l’ultimazione dell’opera" anche se naturalmente "eventuali responsabilità di singoli, se acclarate, vanno punite con la severità prevista dalla legge" e in tal senso invita tutti a dare "la massima collaborazione" alle autorità competenti. "Il totale rinnovamento dei vertici del Consorzio Venezia Nuova relega eventuali colpe a gestioni del passato che non devono rallentare o compromettere l’ultimazione dell’ opera – sottolinea Lupi – il Mose è realizzato all’ 85%, è completamente finanziato, va finito, nella più totale trasparenza, entro i tempi previsti e senza aumento dei costi".
I sindacati condannano quanto sta accadendo. Il segretario della Uil Luigi Angeletti afferma senza mezzi termini che "bisogna trovare le norme che colpiscono gli imprenditori che corrompono e gli amministratori che si fanno corrompere, ma non fermare i lavori che sono un bene di tutti". E Raffaele Bonanni della Cisl mette sotto accusa il sistema degli appalti che va "fortemente revisionato": "Ogni ente è una stazione appaltante, come si fa a controllarli tutti e a prevedere una gestione interna?", si chiede il segretario della Cisl.
Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia, si dice stupito per l’arresto di Orsoni, ma non per il clima corruttivo intorno alla realizzazione dell’opera: "Da sindaco, durante i governi Prodi e Berlusconi, avviai un processo di discussione e verifica ed in tanti passaggi ebbi modo di ripetere che le procedure assunte non permettevano alcun controllo da parte degli enti locali e che il Mose si poteva fare a condizioni più vantaggiose. L’ho ripetuto milioni di volte, ma senza essere ascoltato".
Carlo Nordio, procuratore aggiunto veneziano, fa eco a Cacciari: “Lo dico da anni e lo ribadisco oggi: una delle cause della corruzione deriva dalla farraginosità e dalla complicazione delle nostre leggi. Per ridurre la corruzione occorrono meno leggi e meno complicate" perché "alzare le pene come spesso si ripete, non serve a nulla". Per Nordio siamo tornati “alla vecchia Tangentopoli”, ma quella di oggi è “più complessa e sofisticata".
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