Robert Hughes, l’esperto d’arte soprannominato ‘il Mohammed Ali della critica’ per la sua tendenza a parlare fuori dai denti, e’ morto ieri a New York all’eta’ di 74 anni dopo una lunga malattia. Con lui si e’ spento un altro grande polemista della stessa tradizione di Gore Vidal, scomparso anche lui in questi giorni, un ‘pamplettista’ nello stile di Christopher Hitchens che di controversie si nutriva voracemente.
Nato in Australia ma residente negli Usa dal 1970, si definiva ‘uno di quegli scrittori il cui tema e’ l’arte’ e su quell’argomento ha scritto numerosi saggi divenuti molto celebri tra il pubblico, fra cui ‘Barcellona l’incantatrice’. Recensore d’arte per Time Magazine per oltre trent’anni ed unico esperto ad aver ricevuto per ben due volte il prestigioso premio per critici Frank Jewett Mather Award, Hughes ha sempre guardato all’opera d’arte come tale, scontrandosi contro la commercializzazione eccessiva dell’arte contemporanea.
Per artisti come Damien Hirst lui non aveva tempo. Nel 2004, davanti ad un audience alla Royal Academy di Londra che includeva lo stesso enfant terrible della Brit Art, disse: ‘Le pennellate su un colletto di pizzo di Velasquez possono essere rivoluzionarie quanto lo squalo catturato parecchi anni fa da un australiano che ora si sta tristemente disintegrando in una vasca sull’altra sponda del Tamigi. Anzi, lo sono anche di piu”.
Grande fan di Lucian Freud e Frank Auerbach ai quali dedico’ dettagliate opere critiche, Hugues e’ conosciuto nel mondo anglosassone anche come rivoluzionario autore televisivo, con serie di documentari che analizzavano la storia dell’arte in relazione all’evoluzione della societa’.
Nel 1999 rimase quasi ucciso in un incidente d’auto in Australia dal quale non si riprese mai completamente. Nel 2002 il suo rifiuto a dirigere la Biennale di Venezia fece molto scalpore in Italia. L’invito gli era stato fatto dall’allora sottosegretario ai beni culturali Vittorio Sgarbi, ma lui aveva rifiutato affermando che ‘La vita e’ troppo breve per sprecarla con gli indecisi’. Riportando le ragioni del rifiuto, il New York Post aveva spiegato: ‘L’offerta all’inizio lo aveva reso felice, ma le diatribe e l’inettitudine del governo italiano lo avevano successivamente amareggiato’.
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