Rita Levi Montalcini è morta nella sua casa di Roma all’età di 103 anni. ‘La mia vita e’ tanto lunga e piena di splendide cose, ma quello che importa sono i valori’, aveva detto per i suoi suoi 100 anni e l’unico regalo che davvero desiderava era ‘un mondo che creda nei valori etici’ e nella scienza, perche’ ‘senza scienza non c’e’ futuro’. Poche battute che racchiudono il frutto della lunghissima vita di Rita Levi Montalcini, vero e proprio simbolo della ricerca italiana..
Elegante e sobria, aveva un aspetto esile dietro al quale nascondeva una personalità fortissima con la quale ha affrontato le sfide più difficili.
Nata a Torino il 22 aprile 1909, fin da bambina diceva di ‘non essere interessata ad una societa’ dagli uomini ne’ a un futuro di buona moglie o di buona madre’. Nonostante le resistenze paterne, si iscrisse a Medicina e studio’ nella scuola dell’istologo Giuseppe Levi insieme a Salvador Luria e Renato Dulbecco, che come lei sarebbero diventati Nobel.
Le leggi razziali la costrinsero a trasferirsi in Belgio, dove continuo’ a studiare lo sviluppo del sistema nervoso nell’ universita’ di Bruxelles. Poi’ torno’ a Torino, dove aveva allestito un laboratorio di fortuna in camera da letto, una stanzetta di due metri per tre: un periodo difficile, ma fertile intellettualmente, del quale non si stancava mai di raccontare.
Nonostante i pochissimi mezzi (ma preziosi, come le uova di pollo in piena guerra) scopri’ fenomeni fondamentali legati allo sviluppo del sistema nervoso e alla morte cellulare. I bombardamenti la costrinsero a trasferirsi prima vicino Asti e poi a Firenze, dove nel 1944 lavoro’ come medico al servizio degli alleati (e dove capi’ che fare il medico non faceva per lei), e poi nuovamente ad Asti.
Nel 1947 il grande passo verso gli Stati Uniti, dove le era stata offerta una cattedra nella Washington University di St Louis. ‘Senza saperlo ci ritrovammo sulla stessa nave’, raccontava divertito Dulbecco, da sempre legato a Rita levi Montalcini da una fortissima amicizia. ‘Facevamo lunghe passeggiate sul ponte parlando del futuro, delle cose che volevamo fare’. Discorsi che avrebbero influenzato reciprocamente le loro ricerche. Quello che avrebbe dovuto essere un soggiorno di pochi mesi si trasformo’ in un’esperienza di 30 anni. Rita Levi Montalcini teneva molto a dire che l’11 giugno 1951 segno’ la sua scoperta fondamentale: il fattore di crescita delle cellule nervose, o Nerve Growth Factor (Ngf). Una scoperta che, diceva, ‘andava contro l’ipotesi dominante nel mondo scientifico che il sistema nervoso fosse statico e rigidamente programmato dai geni’.Era stata una visione giusta delle cose, la sua, considerando che le sue ricerche sarebbero state premiate con il Nobel, che avrebbe condiviso con il suo studente Stanley Cohen. ‘Stavo leggendo un giallo di Agatha Christie quando e’ arrivata la telefonata da Stoccolma”, raccontava. ‘Il Nobel non cambiera’ la mia vita. Continuero’ a lavorare come ho sempre fatto’. Anche i festeggiamenti furono in linea con la sua sobrieta’: ‘un brodo e un riso cinese – raccontava – poi sono andata a dormire’.
Nonostante il lungo periodo di lavoro negli Usa, Rita Levi Montalcini non ha mai dimenticato l’Italia, dove dal 1961 al 1969 ha diretto il Centro di Neurobiologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, allora presso l’Istituto Superiore di Sanità. Dal 1969 al 1979 ha diretto il Laboratorio di Biologia cellulare del Cnr, dove ha continuato a collaborare fino al 1995. E’ stata inoltre presidente dell’Istituto Europeo per le Ricerche sul Cervello (Ebri), che ha fortemente voluto e dove ancora oggi i suoi allievi proseguono la ricerca sul fattore Ngf. Membro dell’Accademia dei Lincei, e’ stata anche presidente dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, ambasciatrice della Fao. Costante anche l’attivita’ a favore delle donne, soprattutto africane, aiutate anche con una fondazione intitolata al padre.
MONTALCINI:TORINO PIANGE LA CONCITTADINA CORAGGIOSA. NATA E LAUREATA SOTTO LA MOLE, SUBI’ PERSECUZIONI RAZZIALI – A molti torinesi, oggi, piace pensare che incarnasse quel rigore, quel senso del dovere e quella caparbieta’ che, si dice, hanno reso famosa la metropoli sabauda. Di sicuro c’e’ che Rita Levi Montalcini, nata a Torino nel 1909 da una famiglia ebrea sefardita, non conosceva ostacoli. Non la fermarono pareri contrari e pregiudizi quando, nel 1930, decise di studiare medicina all’Universita’ e affronto’ da privatista il terribile esame di ammissione insieme alla cugina Eugenia, di un anno piu’ grande. E non la fermarono, piu’ tardi, ne’ le leggi razziali ne’ la guerra: continuo’ a lavorare per suo conto in una cameretta, rubacchiando le uova che le servivano per gli esperimenti. ‘E’ un vero onore per noi che sia nata a Torino e che abbia fatto tanta strada’, dice oggi il governatore del Piemonte, Roberto Cota. ‘Un esempio per tutti di come sia possibile combattere e superare le sfide piu’ grandi’, sottolinea il sindaco, Piero Fassino. ‘La sua eredita’ – afferma Beppe Segre, presidente della comunita’ ebraica torinese – e’ il coraggio, che non perse nemmeno sotto le persecuzioni; il valore della centralita’ dello studio; il suo impegno politico e civile per i giovani e le donne’.
Dalla Torino in camicia nera Rita Levi Montalcini se ne ando’ nel 1938 per trasferirsi in Belgio; ritorno’ in Piemonte nel ’40, poco prima che il Paese fosse invaso dai tedeschi, ma dopo l’8 settembre riparo’ in Toscana con i documenti falsi che la sorella gemella, Paola, aveva preparato per tutta la famiglia. Nel 1947 le fu offerta una cattedra universitaria negli Stati Uniti e la sua carriera, finalmente, decollo’.
I Levi Montalcini hanno lasciato tracce profonde a Torino. Rita era figlia di Adamo Levi, ingegnere elettrotecnico, e Adele Montalcini, pittrice. Gino, il fratello, e’ stato architetto, scultore, disegnatore, docente universitario e presidente del consiglio dell’ordine degli architetti cittadini. La nipote Piera oggi e’ impegnata in politica: siede nel consiglio comunale nel gruppo dei Moderati. Torino le conferi’ la cittadinanza onoraria nel 1987, un anno dopo il Nobel. Vi tornava spesso (‘con la riservatezza e il pudore della scienziata’, osserva Segre) per una cerimonia, una conferenza, l’inaugurazione di un ospedale o un centro di ricerca, il ritiro di uno degli innumerevoli premi, una visita in famiglia e, chissa’, forse per ricordare il periodo della giovinezza quando, come vuole la leggenda, alle lusinghe dei corteggiatori preferiva l’amicizia di Renato Dulbecco, guarda caso un altro futuro premio Nobel: erano compagni di studi sotto la guida del professor Giuseppe Levi, papa’ della scrittrice Natalia Ginzburg, che crebbe nello stesso periodo Salvador Luria, il terzo Nobel della nidiata.
A Torino festeggio’ i cento anni, nel 2009, con una lectio magistralis al teatro Carignano: ‘Sento forze che a vent’anni non avevo’, disse. E’ solo di pochi mesi fa l’ennesimo capitolo del suo impegno civile: la firma per il Si’ al referendum regionale contro la caccia.
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