La ricerca prioritaria del consenso ha superato in questa fase politica la soglia di guardia: nessun leader di partito è disposto ad affrontare la crisi con la ragionevolezza che i tempi richiedono, e solo Napolitano si preoccupa del bene del Paese. Potrei aggiungere che anche il Cavaliere ha mostrato, con le dimissioni annunciate per certe, e con la svolta a favore di Monti, di essere questa volta all’altezza della situazione, ma mi accuserebbero ancora una volta di faziosità e servilismo. Comunque, l’ho detto.
La verità è diventata oggi un concetto soggettivo che si diffonde in rete e spazia velocemente da un sito all’altro, rafforzandosi via via nel gioco dei numeri: quello che una volta era "vox populi vox Dei" è diventato oggi "lo dicono in tanti su Facebook, perciò è vero!"; e nessuno pensa, come non si pensava prima, che il popolo di ieri, come oggi quello di Facebook, è costituito in gran parte da individui facilmente condizionabili che seguono come un gregge di pecore belanti il primo masaniello che si impadronisce del pulpito (oggi, del microfono o del link).
E così, la cosiddetta opinione pubblica che dovrebbe rappresentare la sintesi del pensiero delle diverse categorie sociali, oggi si forma semplicemente e rapidamente sulla scia dell’opinione personale del singolo predicatore o del gruppo che lo sostiene. Con evidenti carenze di pluralità di giudizio e creatività di idee. Come avveniva nel vecchio West, se c’è chi urla "é lui il colpevole", il cappio è già pronto e la folla prepara il linciaggio. Se c’è chi pontifica "Monti è il boiardo" o "Abbasso Monti", il marchio del tagliatore di teste diventa indelebile. Si parla ovviamente di teste di lavoratori dipendenti e pensionandi.
Ma perchè non pensare invece, spostando il bersaglio, che Monti possa essere diventato, in una situazione politica così confusa e ingarbugliata, il "salvatore di teste", intendendo le teste di Bossi, di Berlusconi, ma anche di Di Pietro e Bersani? Noi lo abbiamo pensato da subito.
Abbiamo seguito con apprensione l’involuzione della politica rappresentata dai veti incrociati che non hanno permesso al premier di muoversi come avrebbe dovuto: dall’inconsistenza e a tratti dannosa passione ragioneristica del venerato Tremonti, dal mercato delle vacche delle ultime settimane, dalla difesa ad oltranza delle pensioni di anzianità (anomalia tutta italiana), dal tabù della patrimoniale e del posto fisso, le occasioni del fare sono annegate in un mare di polemiche mediatiche che hanno distrutto la credibilità dell’Italia.
Chi potrebbe adesso avere il coraggio di affrontare l’ira funesta dei propri elettori tornando sui suoi passi e sulle promesse fatte in campagna elettorale, in nome del comune destino fatalmente vicino? Chi, dei nostri leader politici, e la parola leader ci sembra eccessiva, saprebbe rinunciare ai vantaggi personali che la situazione drammatica paradossalmente può creare a ciascuno di loro in vista di elezioni, per costituire quella fantomatica unita e coesa maggioranza parlamentare necessaria all’approvazione di una manovra "lacrime e sangue"?
In questo malinconico panorama di laidi conflitti di interessi, svettano le parole del Berlusca, che noi nonostante tutto continuiamo a vedere in un’ottica diversa, se non altro per la qualità decisamente più apprezzabile dei suoi conflitti di interessi. "Monti?", dice il Cavaliere: "Una scelta ineludibile". E siamo ancora una volta con Silvio, augurandoci che i cattivi consiglieri non lo costringano a smentirle. Se sarà per un governo a termine come in Grecia, o per traghettare verso il 2013 un Paese da salvare dal naufragio, lo vedremo.
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