Sulle spalle di Mario Monti, in vista del vertice europeo, e’ stato caricato un fardello di aspettative che certamente non lo aiuta: la Germania gli chiede di salvare l’Italia, la ‘strana maggioranza’ di portare a casa risultati concreti sullo spread e sulla condivisione del debito, il Financial Times di salvare addirittura l’euro ‘parlando chiaro’ ad Angela Merkel e ai ‘poteri forti’, anche a costo di minacciare le dimissioni. Mission impossible, verrebbe da dire, stando alle Borse del vecchio Continente che sembrano considerare gia’ fallito il massimo appuntamento della Ue e sono sprofondate in rosso. A deprimerle la Cancelliera tedesca secondo la quale non si potra’ parlare di eurobond e, a quanto pare, nemmeno di altre forme di mutualizzazione del debito ma solo di riforme strutturali di controllo delle finanze pubbliche. Sullo sfondo c’e’ piuttosto l’unione politica, il mito degli ‘Stati Uniti d’Europa’. Ma e’ un cammino che richiedera’ anni: basti pensare al referendum ventilato da Wolfgang Schaeuble per cambiare la Costituzione della Germania, un passo indispensabile se si vuole procedere sulla strada delle cessioni di sovranita’. Che cosa puo’ fare in questa situazione il premier italiano?
Un premier che dovra’ subire anche l’umiliazione del prevertice Hollande-Merkel a Parigi (appuntamento che tradisce per se stesso l’insuccesso della quadrilaterale di Roma)? Presentarsi a Bruxelles con in tasca una riforma del lavoro dagli aspetti controversi, votata a denti stretti dalla sua coalizione solo dietro garanzia di successivi, importanti aggiustamenti? Decisamente troppo poco. Servira’ un colpo d’ala. E cio’ spiega la preoccupazione con cui il Quirinale sta seguendo l’ evolversi della crisi. Si e’ fatta piu’ concreta la possibilita’ che il Professore torni dal vertice senza risultati di rilievo e dunque che esploda il nervosismo della maggioranza. In particolare del Pdl. Del resto le perplessita’ serpeggiano ormai a tutti i livelli: ne e’ dimostrazione il documento del Centro Studi di Confindustria secondo il quale e’ chiaro che la politica del rigore sta facendo avvitare l’Europa in una crisi senza via d’uscita. Per il CSC nessun economista crede piu’ agli effetti espansivi non keynesiani dei tagli ai bilanci pubblici: anzi, l’effetto e’ il contrario di quello desiderato. Insomma, secondo gli esperti degli industriali italiani se la Germania non lascia da parte i calcoli elettorali e non si converte ad una vera politica di supporto della domanda, la crisi non trovera’ soluzione.
Difficile pensare che Monti si possa allineare alla filosofia keynesiana ma cio’ naturalmente lo espone su un doppio fronte: quello di Berlino che gli chiede il tempo che invece non esiste e quello interno dove sia a destra che a sinistra si contesta la politica dell’austerita’. In particolare Silvio Berlusconi, con le sue sortite anti-euro e anti-Merkel, gioca una partita enigmatica che allarma democratici e centristi.
Pierferdinando Casini tenta di stanarlo con la proposta di un patto tra progressisti e moderati europei, un asse tra popolari e socialisti che tagli automaticamente fuori le tentazioni populistiche del Cavaliere. Pierluigi Bersani l’ha accolta come l’esito auspicato della sua lunga rincorsa al nuovo centrosinistra, una stabilizzazione del quadro politico che lo rafforzerebbe nel negoziato con Vendola e Di Pietro. Il Pdl invece ha reagito con asprezza: ritiene la mossa del leader Udc un tentativo di dividere il partito e soprattutto l’inizio della rincorsa di Casini al Quirinale nella veste di arbitro tra destra e sinistra. Tensioni che si riflettono inevitabilmente sulla mozione parlamentare di indirizzo che dovrebbe sostenere Monti al vertice europeo. Non ci sara’ un documento unico perche’ il Pdl tiene a distinguersi, ma forse un ‘preambolo’ comune: formula che sa tanto di prima repubblica, di antichi accordi tra potentati politici per trovare un compromesso. Colle e palazzo Chigi in questo momento possono solo mediare: il timore concreto e’ che qualcuno, dopo un vertice che fosse un fallimento, possa ritenere preferibili le elezioni in autunno piuttosto che continuare a pagare il conto di una strategia economica che finora ha seminato solo dubbi e malcontento.
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