Il Financial Times, l’Economist e altri giornali esteri, che per anni hanno fatto campagna contro Berlusconi, ora commentano le sue dimissioni con parole che sanno di scherno. Dobbiamo rispondere loro che non è in nome dell’Italia, e certamente non in quello di Dio, che loro possono parlare. Se nascerà un governo “tecnico”, e se Monti, come si suppone, verrà incaricato premier da Napolitano, il nuovo governo non sarà quello deciso dalla maggioranza degli elettori. E non lo sarà neppure se ottenesse obtorto collo l’approvazione di Berlusconi. Sarà piuttosto il governo del presidente della Repubblica, non quello scelto dagli italiani. Riteniamo che, in questo modo, si stia facendo un vulnus alla nostra democrazia, i cui effetti saranno nefasti. In pratica sarà un ritorno alla Prima Repubblica, quando il governo non veniva scelto dagli elettori, ma negoziato dopo le elezioni, e in incontri riservati a pochi.
Sarà il governo dei poteri forti. In primo luogo quello di un presidente della Repubblica eletto da un Parlamento che non aveva neppure ottenuto i voti della maggioranza degli italiani (ricordiamoci che nel 2006, al Senato, i voti del centrodestra furono duecentomila in più di quelli del centrosinistra). Sará il governo dell’Unione Europea, del Fondo Monetario Internazionale, delle agenzie di ratings. Il governo sollecitato da Obama e da Sarkozy. Il governo chiesto da Fini, transfuga dal partito che lo ha nominato presidente della Camera, poltrona dalla quale ha impunemente continuato a far politica di opposizione. Sarà il governo desiderato da Casini, che vede premiata la sua strumentale ricerca di maggiore spazio per l’UDC, astutamente voluto al solo fine di coltivare le proprie ambizioni. Sarà infine il governo chiesto dal PD, che le elezioni del 2008 le aveva perse e che, fiancheggiato dalla CGIL sua emanazione sindacale, si è sempre accanitamente opposto, tra le altre, anche alle riforme del mercato del lavoro e delle pensioni, che sono in primo luogo proprio quelle che si devono fare adesso, e con grave ritardo.
La via giusta sarebbe lo scioglimento del parlamento e chiamare i cittadini a nuove elezioni. Se il popolo italiano verrà chiamato alle urne, non crediamo che la situazione economica potrà peggiorare di molto. Il nostro debito pubblico è quello che è, e l’Italia per i pochi mesi necessari ad una campagna elettorale può certamente farsi carico di ogni eventuale aumento speculativo dello spread. Le elezioni svelenirebbero e chiarirebbero la situazione, e darebbero vera legittimità al nuovo governo, fosse pure quello della sinistra. Perchè è troppo facile lanciare critiche nelle trasmissioni dei Floris, dei Santoro e dei Fazio. E’ facile per un comico come Benigni strappare risate nei confronti del nostro premier, perfino nel parlamento europeo. E’ facile per gli opinionisti a senso unico de la Repubblica, il Corriere e la Stampa, denunciare l’ambiente di sfiducia, che anche loro hanno contribuito a creare. Sarà invece molto più difficile per Bersani, Di Pietro, e ogni loro alleato, dimostrare che le politiche da realizzare siano diverse dalla linea fin qui tenuta dal centrodestra, pur con troppe incertezze e tentennamenti.
Riteniamo che siano state anche la lentezza e le mancate decisioni del governo, quelle che hanno contribuito alla sua caduta. La lezione dovrà servire per il futuro. Occorrerà ottenere maggiore omogeneità nelle politiche e chiarezza nei programmi, e soprattutto nelle persone che saranno chiamate a sostenerli, e ad attuarli se si sarà al governo. E si devono instaurare meccanismi che impediscano che si possa abbandonare impunemente un partito, per poi magari farvi allegramente ritorno, premiati da un nuovo incarico. Insomma, gli interessi e le ambizioni degli eletti non devono poter prevalere sulla volontà dei cittadini che li hanno votati.
Se non vogliamo dare spazio al populismo e alla sfiducia – non a quella dell’Economist, di cui ci importa poco, ma a quella che sta crescendo tra gli italiani – si dovrà ottenere molta maggior serietà e coerenza da parte degli eletti e dei governanti. E i programmi scelti dovranno poter essere portati a compimento, che è l’unico modo per metterli alla prova, affinchè gli elettori li possano poi giudicare alle seguenti elezioni.
Un governo “tecnico”, deciso tra quattro mura, dovesse pur riuscire a migliorare la situazione economica contingente, non potrà mai realizzare quei cambiamenti e quelle profonde riforme che gli italiani attendono, e che nel 2008 si erano illusi di aver indicato.
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