Tra sabato e domenica – mentre in Grecia scontri di piazza caratterizzavano perfino con bombe molotov momenti decisivi per il futuro del Paese (e in parte dell’Europa) – in Italia era possibile assistere a un curioso fenomeno mediatico, uno dei tanti “curiosi” a dire il vero: dopo aver seguito con particolare rilevanza ed enfasi, qualche volta perfino servile, la visita del presidente del Consiglio italiano Mario Monti negli Stati Uniti, le stesse fonti giornalistiche (anche se non esattamente le stesse persone) – soprattutto a destra ma non solo, si arrampicavano sugli sdrucciolevoli specchi della televisione e di internet e si avvolgevano in rotoli di carta stampata (si fa per dire), per sminuire il significato della missione di Monti tra Casa Bianca, Congresso americano, Wall Street, Onu e le sedi di grandi media americani.
In un battito di ciglia si è passati dal provincialismo mieloso dell’esaltazione retorica a quello livoroso della distruzione a tutti i costi. Lo “smontaMonti” già serpeggiava da settimane anche a sinistra, ma con il dopo-Washington ha raggiunto livelli che hanno reso difficile distinguere faziosità esplicita e pregiudiziale, tipica di alcuni giornali di destra e di partiti come la Lega, dai sorprendenti e per la verità maldestri tentativi disfattisti di trasmissioni televisive come “La Mezzora”. Qua e là, tra il subdolo e l’esplicito, qualcuno tentava anche di tracciare similitudini tra la situazione italiana a quella della Grecia. Nel frattempo “La Repubblica”, con intenti per la verità altrettanto poco chiari, lanciava la notizia dell’incontro segreto tra Monti e la segretaria della Cgil Susanna Camusso per un accordo, anch’esso segreto, sulla modifica del famoso articolo 18 (quello dello Statuto dei lavoratori che obbliga le aziende con più di 15 dipendenti a riassumere chi è stato licenziato senza “giusta causa”). Si ha voglia di discutere su quale edizione di “Time”, in Europa, in Asia, in America, ha messo o no Monti in copertina come l’uomo che potrebbe salvare l’Europa; si può far finta di ignorare che prima e dopo la visita grandi testate americane hanno riservato all’Italia e agli incontri americani di Monti intere pagine (non di pettegolezzi e sarcasmi come accadeva solo pochi mesi fa); si possono fare e sono state fatte tante piccole operazioni meschine di demolizione – per i motivi più disparati, ideologici e personali – ma, comunque la si voglia mettere, la visita di Monti in America è stata un evidente successo per lo meno di immagine, in particolare se si ripensa ai risolini, alle alzate di spalle e agli squallidi pettegolezzi con cui l’Italia e il predecessore di Monti erano percepiti, soltanto qualche mese fa, a Washington, a Wall Street, all’Onu e un po’ ovunque nel mondo.
E’ evidente che a questo presidente del Consiglio – e alla nuova e più affidabile Italia di cui sta cercando di gettare le fondamenta – si riconosce una “credibilità” che nessuno sperava più di raggiungere. Lo ha ricordato lo stesso Monti ricordando che oggi è “merce rara”, molto importante per i mercati. E quindi per chiunque, inclusi coloro che stanno facendo i sacrifici più pesanti e i “denigratori di lusso”. Ma davvero tanti giornalisti anche famosi non se ne rendono conto o hanno la memoria così corta? O sono così poco prudenti da voler soffiare sul fuoco per creare davvero anche in Italia atmosfere di tipo greco? Pensano forse, soprattutto a sinistra, di apparire per questo obiettivi, imparziali e cronisti d’assalto? O non sopportano il governo tecnico perché non si presta a inciuci mediatici? I motivi e le possibilità sono forse tanto numerosi e tanto inutili e artificiosi quanto la maggior parte dei 2400 emendamenti che questa settimana potrebbero costituire il calvario parlamentare dei provvedimenti governativi per le liberalizzazioni. Sembra quasi che anche a sinistra si vada in cerca di foglie di fico (per la verità trasparenti) per coprire la presunta vergogna della “grosse koalition” all’italiana. Senza a quanto pare rendersi conto che la necessità di credibilità è per l’Italia in questo momento un’inevitabile “opera collettiva dell’ingegno”, proprio come recita la legge istitutiva dell’ordine giornalistico, senza alcun bisogno di maschere, anche se siamo in pieno carnevale.
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