L’ammissione di Mario Monti di aver contribuito con la propria politica economica ad aggravare la recessione e’ paradossale soltanto in apparenza. In realta’ costituisce l’ennesima denuncia di anni di malgoverno che lo hanno costretto a pagare questo prezzo per impostare un’opera di risanamento duraturo. Il Professore ci tiene a presentarsi come un uomo che non ha niente da nascondere e la sua sincerita’ lo ha certamente rafforzato al tavolo delle parti sociali. A imprenditori e sindacati il premier rimprovera di aver fatto troppo poco per la ripresa ed in particolare per l’aumento della produttivita’, uno degli indicatori negativi del sistema Paese che piu’ preoccupano l’Ue. Se gli altri anelli deboli della catena (Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda) hanno invertito questo trend, ragiona Monti, non c’e’ motivo perche’ non lo faccia anche l’Italia: e cosi’ il presidente del Consiglio chiede alle parti sociali di compiere ‘entro un mese’ passi concreti in questa direzione.
Eppure lo scenario ipotizzato da Monti e’ condizionato da alcuni elementi: innanzitutto si tratta di capire, come osserva Renato Brunetta, se le riforme che si sono rivelate depressive sul breve periodo riusciranno invece a dimostrarsi espansive nel medio termine; essendo riforme strutturali, infatti, potrebbero rallentare a lungo la crescita (ed e’ questo uno dei motivi per cui Monti chiede a imprenditori e sindacati di impegnarsi in prima fila rinunciando alle storiche rivalita’). Poi ci sono le riserve della Cgil e della sinistra che reclamano da tempo interventi immediati dell’esecutivo in favore delle fasce piu’ deboli: Susanna Camusso dice che la crescita non e’ nelle mani del suo sindacato ma piuttosto della politica messa in campo dal governo; Cesare Damiano del Pd ritiene che con le sue parole Monti abbia ammesso che e’ urgente tornare ad una maggiore equita’; secca la bocciatura di Nichi Vendola per il quale il Professore non ha dimostrato strabilianti capacita’ tecniche. Ma bisogna osservare che anche il Pdl ha sempre maggiori difficolta’ nell’accettare la filosofia del montismo, come dimostrano le frecciate di Brunetta e le critiche a tutto campo di Giulio Tremonti (che si prepara a lanciare il suo movimento). Ora, tutto cio’ si traduce in un inevitabile, lento logoramento del tessuto di maggioranza.
Finora a tenere unita la ‘strana coalizione’ sono stati i centristi, sentinelle delle larghe intese. Ma dopo il naufragio del Terzo polo, la posizione di Pier Ferdinando Casini si e’ indebolita. Tanto indebolita da indurre Francesco Rutelli a tornare nell’orbita del Pd. Anche Gianfranco Fini e’ alla ricerca di una nuova collocazione politica. Casini non ha convinto nemmeno Luca di Montezemolo che ne ha stroncato le ambizioni senza tanti complimenti, accusandolo in sostanza di non avere un progetto se non quello di vivere all’ombra del carro di Monti, difeso da scudieri della vecchia generazione. Accuse forse ingenerose ma che fanno capire come sia cominciata una battaglia per il controllo di quel centro che il leader dell’Udc pensava di aver monopolizzato.
Monti si e’ schermito piu’ volte ed ha escluso di poter dare vita ad un altro governo nella prossima legislatura. Ma certo non gli e’ potuta sfuggire la sostanziale assenza di alternative: allo stato non c’e’ in Italia un leader che abbia la sua credibilita’ sullo scenario europeo. Se la crisi continuera’, sara’ difficile sostituirlo. Ma per proseguire nella sua ‘agenda’ servirebbe una maggioranza piu’ compatta, una campagna elettorale non traumatica. La decisione di Pier Luigi Bersani di allearsi con Vendola con ogni probabilita’ lo ha allarmato: il leader di Sel contesta alla radice il programma di governo, e’ convinto che i democratici appoggeranno il referendum anti-Fornero, esclude di poter governare con Casini. Insomma, non sara’ un portatore d’acqua nella vecchia ottica ulivista. Il che introduce un elemento di grande incertezza nel futuro del governo.
Discussione su questo articolo