Gli avvenimenti precipitano con una velocità che la politica fatica a seguire. E non ha torto Walter Veltroni quando paragona il momento che vive l’Italia agli anni dell’emergenza terroristica: allora i due maggiori partiti, Dc e Pci, furono capaci di trovare un’intesa che si tradusse nei governi di solidarietà nazionale. Oggi il compito che attende Pdl e Pd non è molto diverso ma le difficoltà sono ben maggiori. Il motivo non è solo nella delegittimazione che ogni governo tecnico porta con sé di una classe politica, ma anche nel pericolo del tramonto del bipolarismo: non a caso i più fieri avversari di questa soluzione sono stati finora i berlusconiani duri e puri, scesi in campo con l’obiettivo di annientare la partitocrazia proporzionalistica, la Lega Nord, l’Italia dei Valori e la sinistra di Ecologia e libertà, tutte forze che puntano alla disarticolazione del centrismo ex Dc. Adesso la situazione è diversa, siamo praticamente in presenza di uno tsunami finanziario che richiede per sua stessa natura risposte emergenziali. Berlusconi se ne deve essere reso conto subito, nel momento in cui si è rivelata impossibile la via di chiedere una nuova fiducia per guardare negli occhi i "traditori" e certificare in qualche modo i confini della sua area politica.
Nel momento in cui i forzisti della prima ora, da Scajola a Micciché, si sono opposti al ritorno alle urne, e sotto il pelo dell’acqua un po’ tutti i moderati del Pdl la pensano allo stesso modo, il premier non ha avuto altra scelta che acconsentire al tavolo negoziale. Berlusconi, ridotto a più miti consigli dal volgere delle cose in borsa e nella Nazione, ora valuta un possibile sostegno di un governo a guida Mario Monti, ma la decisione non è stata ancora presa e provoca divisioni all’interno delle diverse anime del partito.
Chi dice decisamente no all’ipotesi Monti (da ieri senatore a vita, nominato, con una mossa a sorpresa che ha il sapore di un assist, da Napolitano), sono Lega ed Idv, la prima che espone semaforo rosso con Maroni e Calderoli, il secondo che vede Di Pietro questionare aspramente con il Pd. Dopo aver assaporato l’idea di elezioni anticipate e possibilità di tornare al governo, adesso Di Pietro vede i sogni sfumare in niente.
L’incubo Monti e lo spauracchio del governo tecnico, voluto in maniera bipartisan da una buona fetta del parlamento, rischia di incrinare il “patto di Vasto”. Sono lontani i tempi in cui lui, Bersani e Vendola sorridevano ai flash dei fotografi e progettavano il prossimo assalto al premier. Tutto questo mentre Berlusconi cerca di convincere i perplessi del centrodestra a lasciare la strada delle elezioni, peraltro sponsorizzata da lui stesso fino a 48 ore fa. Ora si tratterà, per lui, di convincere il Senatur, perché, altrimenti, il costo della scelta Monti, potrebbe essere molto salato: una divisione con Umberto Bossi, la fine dell’asse del Nord. E già si inseguono le voci sul “toto ministri” in vista delle consultazioni che il Quirinale avvierà dopo il varo del ddl Stabilità. Non a caso gli sherpa dei diversi schieramenti sono già in campo per sondare il terreno. Secondo indiscrezioni giornalistiche Franco Frattini manterrebbe l’incarico alla Farnesina e Francesco Nitto Palma rimarrebbe Guardasigilli. Non si sposterebbe neppure il ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto. Resta in forse, invece, la riconferma di Maurizio Sacconi al Welfare che alcuni vorrebbero in uscita: al suo posto potrebbe arrivare Pietro Ichino. Una richiesta esplicita formulata da Berlusconi sarebbe, infine, la nomina di Gianni Letta vicepremier unico, anche se rumors parlano di Enrico Letta vice di Monti (una mossa necessaria per coinvolgere il Pd). Altre voci parlano di Fabrizio Saccomanni all’Economia e di Lorenzo Bini Smaghi allo Sviluppo economico e spunta pure il nome di Giuliano Amato, ma addirittura come premier più gradito alla destra, Lega compresa. I mal di pancia su Monti vengono, soprattutto, dal Pdl, dove, anche dopo il vertice notturno di ieri, sono sempre forti le divisioni sulle vie d’uscita alla crisi politica. Continuano a fronteggiarsi il ‘partito del non voto’ che punta a un governo tecnico Monti o di responsabilità nazionale e il ‘partito delle urne’ qualora dovesse cadere l’ipotesi di un esecutivo politico (a guida Alfano). Proprio per superare queste lacerazioni, dalle parti di via dell’Umiltà si stanno valutando varie opzioni, anche quella di convocare l’Ufficio di presidenza o la Direzione nazionale del partito per trovare una soluzione condivisa in ambito collegiale coinvolgendo le varie anime pidielline. Spetterà al segretario Angelino Alfano prendere una decisione, di concerto con il premier. Allo stato, si tratta solo di ipotesi, visto che i tempi sono strettissimi perché il ddl stabilità dovrebbe essere approvato entro sabato e già domenica potrebbero esserci le consultazioni del Colle dopo le dimissioni di Berlusconi che ha convocato lo stato maggiore del Pdl in tarda mattinata a palazzo Grazioli per fare il punto della situazione e definire le prossime mosse politiche.
Favorevole a Monti il presidente della Camera (e leader di Fli) Gianfranco Fini, che ha dichiarato: "Può essere la personalità giusta, ma sarà lui a dover dire che cosa vorrà fare". In questo caso "Il Terzo polo non si sottrarrà alle sue responsabilità". E ancor più convinto il governatore lombardo Roberto Formigoni, che dice a Repubblica: “Berlusconi ha avuto un grande senso di responsabilità nell’annunciare le sue dimissioni. Oggi ce ne vuole un altro. Ci vuole un gesto importante: si faccia un governo con una larga base parlamentare che sappia mettersi alla guida di questa difficile situazione economica con i provvedimenti più adeguati".
Monti non piace né a Matteoli, né a Franco Frattini, mentre Emma Marcegaglia, presidente inquieta di Confindustria, dichiara: “E’ un’ipotesi che risponde all’appello delle imprese per un governo nazionale di emergenza".
Mario Monti, nato a Varese il 19 marzo 1943, è un uomo fornito di grande aplomb, rigoroso come tutti gli studiosi tripla A, professore dalla cima dei capelli ai piedi, titolare di un curriculum accademico a prova di bomba. La sua laurea, alla Bocconi ovviamente, risale al 1965, mentre la specializzazione è targata università di Yale, tempio americano dei grandi cervelli in formazione, dove Super Mario ha studiato con James Tobin, premio Nobel per l’Economia. Dall’anno in cui ha iniziato l’attività accademica, 1970, Monti non si è più fermato: prima a Torino, poi professore di Economia politica, direttore di istituto, rettore e presidente (alla morte di Giovanni Spadolini) della più potente università italiana, la Bocconi appunto. E’ stato commissario europeo fino al 2004, quando, dopo dieci anni a Bruxelles, venne sostituito da Rocco Buttiglione, respinto in modo strumentale dal Parlamento europeo e da Franco Frattini, che poi diventerà ministro degli Esteri dell’ultimo governo di Berlusconi. Terminata l’esperienza in Europa, Monti si è ritrovato membro di diritto di un ristretto club di italiani illustri, forniti di reti lunghe sul piano internazionale, riveriti a destra ed a sinistra, che possono diventare ogni giorno qualcuno, in un governo, in Parlamento, al Quirinale.
Intanto a Piazza Affari torna un po’ di fiducia sull’Italia, dopo lo schiaffo subito ieri da titoli di Stato e Borsa. A Milano l’indice Ftse Mib viaggia in prossimità dei massimi di seduta, in rialzo del 3% a 15.528 punti. Lo spread Btp/Bund è segnalato in forte calo a 531 punti base dai 570 punti cui si attestava questa mattina alle ore 9. Sembra dunque piacere ai mercati l’ipotesi di un governo di transizione guidato dall’economista ed ex-commissario Ue, accreditata, implicitamente, come detto, dalla nomina di Monti a Senatore a vita, da parte del Presidente della Repubblica.
Riscontri positivi anche per l’accelerazione impressa al percorso della Legge di stabilità, ma ora si tratta di passare ai fatti.
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