"Siamo cani in un canile" scriveva Gabriele Cagliari nella struggente lettera lasciata ai propri cari prima di suicidarsi, il 20 Luglio del ’93, in una giornata estiva che lui trascorreva in carcere, dove era "detenuto in attesa di giudizio" da quattro mesi, mentre il suo "aguzzino" De Pasquale, pubblico ministero spergiuro (gli aveva promesso la libertà il giorno prima) partiva per le ferie, come un qualsiasi impiegato dello Stato, ma con in più il privilegio di decidere il destino degli uomini.
La gente ha dimenticato, dimentica in fretta: è anche questo un dono divino che consente di rivivere più volte i sogni e le illusioni, e inconsapevolmente gli stessi errori.
Percio’ non dobbiamo stupirci se nel processo Mills, anche per quella parte del popolo non necessariamente malata di antiberlusconismo, Fabio De Pasquale non e’ considerato un giustiziere invasato senza rimorsi, ma un magistrato rimasto al suo posto dopo la buriana di "Mani pulite", a continuare la lotta alle presunte malversazioni. Le giornate del ricordo o della memoria hanno bisogno di numeri grandi e di tragedie collettive per suscitare compassione. Chi puo’ piangere per il suicidio di un uomo in qualche modo legato a vicende lontane e poco chiare, in un mondo che sembra abitato solo da indignati, arrabbiati, moralisti e predicatori, in perenne ricerca di vittime esemplari da perseguitare?
Se poi c’è il valore aggiunto di colpire il personaggio pubblico più ricco, più chiacchierato, più invidiato, lo sceriffo che si nasconde sotto la toga per dieci anni si dedica al processo che lo stuzzica nella vanità e nell’orgoglio; i testimoni intimoriti si cucinano da soli, nel loro stesso brodo, e confonderli e indirizzarli diventa col tempo più facile.
Parte del popolo gli è amica: non vede l’ora di vedere alla gogna il gaudente, colpevole di ricchezza spropositata e di ambizioni illegittime agli occhi dei mediocri. Eppure, nonostante il favore del pubblico, il finale della commedia non e’ quello già scritto: questa volta, con De Pasquale, al di là della valenza pseudopolitica che si vorrà dare alla sentenza, per noi ha vinto la vita, quel bene supremo che lui ha calpestato senza pietà e senza pagarne il conto. Ci sarà qualcuno a ricordarglielo?
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