E’ stato inevitabile il clamore, con le successive polemiche che continuano ad imperversare, per via della trovata di alcuni tifosi biancocelesti o presunti tali che hanno fatto stampare e lasciato degli adesivi nel settore giallorosso in cui si vede l’adolescente Anna Frank ritratta con una maglietta della Roma, proprio lei che morì in un campo di concentramento solo per essere nata ebrea.
La protesta della comunità ebraica è stata immediata; è seguita un’inchiesta della Figc e anche la presa di distanza della società biancoceleste dai fatti, e soprattutto da chi parla solo di una goliardata.
Sono stata pervasa da un senso di profonda tristezza e malinconia, pensando non all’intera comunità ebraica offesa, che non è solo una comunità, ma è parte di una più grande “comunità”, quella italiana; e francamente non mi piace dividere le persone per categorie, come se entrando nella sinagoga di Roma si entrasse in un altro territorio, in un mondo in cui si è estranei, perché non è così, anche quello è il nostro mondo e non si può davvero dividere in comparti a tenuta stagna, anche se c’è chi tenta ancora di farlo.
Ho solo pensato a lei, Annelies Marie Frank, italianizzato in Anna Frank, poco più che bambina, deportata solo perché ebrea, divenuta un simbolo della Shoah per il suo famosissimo diario, scritto nel periodo in cui lei e la sua famiglia si nascondevano dai nazisti, e morta a Bergen-Belsen ed è incredibile che ebrea, cristiana o atea, sembra che non debba riposare in pace.
Pensavo a quelli che potevano essere i pensieri intimi di quella bimba che aveva tanta voglia di vivere nonostante la reclusione necessaria per tentare di sopravvivere, a lei che parlava della propria famiglia e dei propri amici, del suo innamoramento per Peter nonché della sua precoce vocazione a diventare scrittrice.
Il diario manifesta la rapidissima maturazione morale della bimba, che per via degli eventi era cresciuta in fretta e che contiene anche considerazioni molto elevate per quell’età, riflessioni di carattere storico e sociale sulla guerra, sulle vicende del popolo ebraico, sulla persecuzione antisemita, sul ruolo della donna nella società, cose che ragazzine di oggi per loro fortuna non sono costrette a fare.
Pensavo che essendo morta così precocemente, tante cose non ha potuto farle la piccola Anna e forse se fosse vissuta o se addirittura fosse vissuta oggi, avrebbe voluto come tante altre ragazzine come lei, indossare davvero la maglietta di una squadra di calcio, magari della nazionale Olandese, o tedesca, magari le sarebbe piaciuto venire in vacanza in Italia, terra di grandi scrittori come voleva diventare lei, e avrebbe visto altre magliette, altre bandiere, tante e mi sarebbe piaciuto oggi regalargliele tutte.
Anna non ha potuto mai fare sport, andare in bici, giocare a pallavolo, nuotare, allora le regalerei il costume da bagno azzurro di Federica Pellegrini, quello ricamato e pieno di paillettes delle nuotatrici del nostro nuoto sincronizzato, il fioretto di Bebe Vio, il body delle nostre campionesse di ginnastica artistica, la maglietta azzurra della nazionale di calcio italiana, la t-shirt della nostra nazionale di basket o delle ragazze del volley, anche la divisa delle cheerleader, il casco di Vettel, e perfino il pallone di Dybala.
Le regalerei i pattini di Carolina Kostner per vederla volteggiare sul ghiaccio, la divisa e gli sci di Sofia Goggia, i guantoni di Clemente Russo per tirare di box, e ogni altra divisa e maglietta di ogni genere di sport per regalarle quello che non ha potuto avere mai.
Anna Frank non potrà mai indossare nessuna di queste divise, ma mi piace pensare che forse le sarebbe piaciuto. Dire oggi che quegli adesivi sono offensivi a mio avviso non solo non basta, ma non ha impatto e non smonta il gesto in sé. Credo invece che tutte le società di calcio italiane di serie A e anche di serie B, dovrebbero dedicare ad Anna Frank una maglietta per i motivi di cui ho disquisito, allora sì che quel gesto di pochi facinorosi sarebbe annullato, deriso, smontato nel suo becero intento, e tra gli sportivi, i ragazzi, i bambini e i tifosi che amano così tanto il calcio, lo sport più bello del mondo, ci sarebbe una presa di coscienza sul fatto che cristiano, ateo o ebreo, tutti con una maglietta, quella che ci piace possiamo scendere in campo e semplicemente “giocare”.
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