Herat, Afghanistan – Il convoglio dei mezzi pesanti è appena rientrato alla base di Herat: cougar, buffalo e maxxpro sono i mezzi che da venti giorni, in colonna, hanno provveduto alla sicurezza e allo sminamento del percorso, scortando trentacinque mezzi civili che si sono spostati verso nord, verso le basi avanzate della valle del Murghab. Direzione Bala: uno degli ultimi avamposti; luogo, impervio e strategico dal quale si controllano tutti i traffici in entrata e in uscita dal Turkmenistan. Zona calda, messa in sicurezza solo da qualche mese secondo il programma seguito dalla missione ISAF, dove comunque gli insurgent afghani non rinunciano ad azioni di disturbo.
Venti giorni per percorrere 350 kilometri lungo la Lithium, una delle principali arterie di comunicazione dell’area: una strada impervia e sassosa che spesso nasconde insidie e ordigni esplosivi innescati al passaggio dei convogli. Con un elicottero lo stesso percorso viene coperto in poco più di tre ore, con uno scalo tecnico per il rifornimento. Con i black hawk in dotazione all’Air Force Army vengono trasportati viveri e materiale di necessità giornalieri, mentre tutto il resto viene inviato via terra e scortato dai mezzi del 5° regimento genio guastatori al comando del Colonnello Maurizio Mascarino. "La situazione è relativamente tranquilla – conferma Mascarino a Italiachiamaitalia.it – anche se sempre difficoltosa. Durante la marcia ci si ferma lungo le postazioni di osservazione della Afghan National Army che offrono una base di fuoco per proteggersi. Le colonne vengono organizzate dai supporti logistici e ogni quindici, venti giorni o un mese (secondo le necessità di rifornimento) raggiungono gli avamposti avanzati. Trappole esplosive e IED (inprovised explosive device) vengono scoperti e disinnescati per salvare il convoglio".
Il pericolo è costante, proprio ieri ne è esploso uno che ha ferito un militare della Sassari.
Durante la marcia la colonna si può fermare solo nelle tappe stabilite e nei punti di sicurezza, si dorme a bordo senza scendere, creando un’area di sicurezza, quando il terreno e le strade spesso sterrate lo permettono. Non è semplice se il tempo non aiuta e la pioggia rende la via impercorribile, la visibilità è ridotta dal clima: la temperatura varia repentinamente e spesso in alcuni punti si prosegue a piedi.
Il 5° genieri vede impegnate in Afghanistan anche otto donne che contribuiscono alla sicurezza e alla logistica. I militari dell’esercito italiano, ed in particolar modo quelli della Brigata Sassari che presidiano lo stanziamento di Herat, ogni giorno fanno il loro dovere, per la sicurezza, per il controllo e per il sostegno a un Paese dilaniato da 35 anni di guerra. Il loro compito lo svolgono con coscienza e professionalità: dal cuoco al dottore ognuno contribuisce, non per ‘mestiere’: non basterebbe nè servirebbe tutto il denaro del mondo a pagare l’attenzione, la cura e l’amor di patria con cui questi uomini e queste donne si alzano ogni giorno in un clima improvvido e si danno da fare per aiutare l’Afghanistan a rialzarsi. La transizione sembra lontana, le date prefissate sono troppo vicine. Sicuramente il lavoro per strutturare la governance e la sicurezza è tracciato, ma il percorso è ancora lungo.
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